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La trazione integrale dalla nascita (lunghissimo : non adatto ai deboli di cuore :-P )
(troppo vecchio per rispondere)
Diego®
2015-06-13 21:58:26 UTC
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[autore : G.Rosato]

Le origini e l’evoluzione dei veicoli a trazione integrale sono legate
inevitabilmente
alla storia dell’intera mobilità a motore che, fin dalla seconda metà del
XIX secolo, ha caratterizzato gli albori della moderna era industriale.
Non c’è da stupirsi quindi che i primi, seppur alquanto rudimentali,
sistemi di
trazione integrale, siano apparsi sui treni prima ancora che
l’automobile fosse inventata.
I primi tentativi di cui si hanno notizia risalgono addirittura al 1824
quando
due inglesi, Timothy Burstali e John Jill, costruirono una carrozza a
vapore a
quattro ruote motrici. Questo veicolo, dal peso complessivo di circa 7
tonnellate
e in grado di raggiungere una velocità massima di poco superiore ai 35 Kmh.,
venne sottoposta ad una serie di numerosi test tra il 1826 e il 1827.
Nessun problema
fu riscontrato nel corso delle prove su rotaia, ma il progetto venne ben
presto abbandonato nel 1827 in seguito all’esplosione di una caldaia.
Molti anni dopo dall’altra parte dell’oceano l’americano Emmett Bandelier,
un agricoltore dell’Indiana con particolari attitudini per la meccanica,
progettò
un motore a vapore per un veicolo a quattro ruote motrici (1883) che avrebbe
dovuto equipaggiare i mezzi utilizzati nelle maggiori fattorie della
zona. Questo
motore conteneva numerose soluzioni tecniche altamente innovative per
l’epoca, ma il suo ideatore non riuscì purtroppo a ricavarne un
prototipo funzionante.
L’agricoltore dell’Indiana lasciò cadere il brevetto verso la fine del
1883 e alcuni anni dopo Henry Ford utilizzò alcune delle soluzioni
tecniche di Bandelier nella produzione
delle sue prime automobili.
Il primo veicolo a trazione integrale della storia è una 4x4 elettrica
realizzata tra la fine del secolo scorso e
l’inizio del ‘900 dall’austriaca Lohner in collaborazione con un
giovanissimo tecnico che rispondeva al nome di
Ferdinand Porsche. Era il 1898 quando la Lohner (azienda leader in
Europa nella costruzione di carrozze che, a Lohner-Porsche 4x4 partire
dal 1896, si specializza nella produzione di automobili elettriche)
assume il giovane Porsche, allora ventiquattrenne,
per affidargli un ambizioso progetto destinato alla realizzazione di una
4x4 elettrica. Il 19 settembre del 1900 la Lohner-Porsche 4x4 è pronta e
viene consegnata
ad un facoltoso cliente inglese. Questa vettura (battezzata “La Toujours
Contente”), con carrozzeria scoperta a 4 posti, era equipaggiata in
pratica di un
motore per ogni ruota e disponeva di una serie di accumulatori (situati
al centro
del veicolo) il cui peso complessivo sfiorava i 1.800 Kg. che
sviluppavano una potenza,
notevole per l’epoca, di 100 CV. Dopo i primi entusiasmanti test, la vettura
venne ampiamente modificata nel tentativo di battere il record mondiale
di velocità
(105.12 Kmh.) conquistato in Francia, ma riuscì a raggiungere soltanto
gli 80
Kmh.
Tre anni più tardi, al Salone di Parigi del 1903, debutta invece l’olandese
Spyker 50 HP, la prima vettura da competizione a quattro ruote motrici
con motore
a benzina; dotata di trazione integrale permanente e differenziale centrale,
la Spyker 50 HP era equipaggiata con un propulsore a 6 cilindri in linea
di 8.681
cc. (50 CV a 1.400 giri al minuto, 75 Kmh.), raffreddato tramite due
radiatori a
“V”; la trasmissione era assicurata da un albero cardanico collegato
direttamente
alla scatola del cambio da dove, tramite due alberi di trasmissione,
veniva trasferito
il moto ai due differenziali.
Negli stessi anni negli Stati Uniti un altro costruttore, Charles Cotta di
Rockford (Illinois) sviluppò un veicolo equipaggiato con un motore a vapore
che, grazie ad un sistema di trasmissione a catena, riusciva a
distribuire la
trazione su tutte e quattro le ruote. Non esistono dati sul numero di
veicoli
costruiti da Cotta che nel primo anno di produzione (1902) pubblicizzò
la sua
vettura anche sulla più famosa rivista dell’epoca (Automobile Trade
Journal).
L’anno successivo Cotta vendette il progetto e il brevetto della sua auto
(considerata a tutti gli effetti come la prima 4x4 americana) alla
Milwuakee Four-Wheel Drive Wagon Company che costruì una piccola serie
di auto e camion 4x4 fino al 1907.
Sempre nell’ambito dei camion 4x4 un’altra azienda americana, la Couple
Gear Freight Company di Grand Rapids (Michigan) avviò nel 1904 la produzione
di camion elettrici a quattro ruote motrici e sterzanti; la gamma
completa era basata
su tre modelli (da 1, 2 e 5 tonnellata come capacità di carico) la cui
velocità
massima era compresa tra i 10 i 13 Kmh.
Nello stesso anno anche in Europa iniziano ad apparire i primi modelli
di camion
a quattro ruote motrici quando la Austro-Daimler (divisione austriaca della
German Daimler Company, antesignana della Daimler-Chrysler) costruì una
linea
di camion 4x4 di media e alta portata destinata alle forze armate; il
telaio e
la meccanica di questi veicoli verranno successivamente utilizzati per
la realizzazione
dei futuri mezzi blindati destinati all’Esercito Austriaco.
In alcuni casi tuttavia la realizzazione di veicoli a trazione integrale
rimase
confinata alla fase di prototipo, come avvenne per quello costruito nel
1905 da
Charles Van Winkle di San Joachin (California); si trattava di una
piccola 4x4 da
turismo il cui progetto venne ceduto ad un’azienda di recente
costituzione (la
Stockton Four Drive Auto Company) che abbandonò l’idea prima ancora di
avviare
la produzione.
Una sorte analoga toccò anche al camion sperimentale a quattro ruote
motrici e
sterzanti realizzato nel 1906 dalla American Motor Truck Company,
sebbene il prototipo
venne utilizzato in seguito (1911) dalla stessa azienda per avviare una
produzione
limitata di camion 4x4 di varia portata (1, 2, 3, 5 e 10 tonn.)
disponibili con motori
a 2 e 4 cilindri.
Ad un’altra azienda americana, la Duplex Power Car Company, si deve la
realizzazione
di quello che viene considerato come il primo veicolo commerciale 4x4,
realizzato nel 1908; questo mezzo, denominato “Model B”, era un piccolo
camioncino
(3/4 tonn.) che restò in produzione per due anni, prima di essere sostituito
dalla nuova versione (1913).
Ancora la Mercedes, nel 1907, costruì una serie limitata di una piccola
4x4 a
quattro ruote sterzanti, destinata alle amministrazioni coloniali
stanziate in Africa
orientale; questo veicolo, molto spartano nell’allestimento e completamente
diverso dalle auto Mercedes fino ad allora cotruite, era equipaggiato
con un motore
a benzina che sviluppava 45 CV.
Nel 1908 si verifica negli Stati Uniti un evento che ha grande risonanza
anche
sul Vecchio Continente, noto nelle cronache della storia del fuoristrada
come lo
“sfondamento americano”. Due macchinisti del Wisconsin, Otto Zachow e
William
Besserdich, costruirono un veicolo a quattro ruote motrici che segnò il
debutto
della prima scatola dello sterzo integrata direttamente nell’assale
anteriore.
I primi test iniziarono nell’ottobre dello stesso anno ed evidenziarono
sorprendenti
prestazioni nell’utilizzo off-road, e il nuovo fuoristrada riuscì a superare
i terreni più accidentati nei pressi di Clintonville (Wisconsin)
attraverso i quali
nessun veicolo a motore allora in circolazione riusciva ad avventurarsi
La nuova versione (1909) del fuoristrada creato da Zachow e Besserdich
risultò
ulteriormente perfezionata rispetto al modello precedente, suscitando un
crescente
clamore negli ambienti automobilistici americani. Grazie al potente motore
a 4 cilindri, in grado di erogare 45 cavalli, questo veicolo
rappresentava la
massima espressione tecnologica in fatto di prestazioni
fuoristradistiche per una
4x4. A tale proposito venne battezzata affettuosamente “Battleship” (nave da
guerra) poiché niente riusciva a fermarla nel corso delle prove
effettuate nelle
proibitive condizioni ambientali intorno a Clintonville. In seguito i
due macchinisti-
costruttori si associarono con la Badger Four Wheel Drive Auto Company,
sperando di offrire all’America un’auto 4x4 adatta a muoversi in ogni
tipo di terreno
con qualsiasi condizione di tempo. La Badger iniziò la regolare produzione
di veicoli e con l’entrata nel gruppo di Walter A. Olen, un avvocato di
Clintonville
che assunse il comando della compagnia, mutò il nome dapprima in Four
Wheel Drive Auto Company (1910) e in seguito semplicemente in FWD. Le
prestazioni
del FWD 4x4 erano talmente elevate rispetto alla concorrenza che la Casa
costruttrice offriva un premio di 1.000 dollari (una cifra ragguardevole per
quei tempi) a qualsiasi auto che fosse riuscita a seguire una Battleship
attraverso
il percorso off-road di prova per almeno 15 minuti; centinaia di auto si
cimentarono
nell’impresa, ma nessuna riuscì a star dietro alla “nave da guerra” di
Zachow e Besserdich.
Dopo aver prodotto soltanto sette auto da turismo a quattro ruote
motrici, la
FWD si rese conto che il mercato non era ancora pronto ad accogliere un
veicolo
del genere, constatando tuttavia che i tempi erano maturi per il mercato dei
camion 4x4.
Ben presto alla FWD iniziarono a prendere in considerazione l’idea di
entrare
in questo settore, soprattutto dopo la richiesta dell’Esercito Americano
(che all’epoca
aveva una flotta di 12 camion) di effettuare una serie di test impegnativi
su percorsi off-road con la Battleship.
I vertici dell’Esercito avevano alcune riserve in merito alle capacità
di carico del
veicolo, ma avviarono lo stesso le prove per valutare la fattibilità del
progetto.
L’Esercito acquistò una FWD 4x4 e, dopo i test di guida in condizioni
ambientali
esasperate, effettuò alcune modifiche alla carrozzeria: al veicolo venne
tagliata
la parte posteriore dell’abitacolo, trasformandolo in pratica in un pick-up
con l’aggiunta di un ampio pianale di carico. Era nato lo Scout Car 4x4,
un autocarro
leggero a trazione integrale in grado di assicurare una capacità di
carico di
una tonnellata e mezza. All’inizio del 1912 lo Scout Car venne
sottoposto ad una
serie di prove per otto settimane consecutive, nel corso delle quali
percorse circa
2.500 chilometri superando con un ampio margine, soprattutto nel traino
degli
armamenti attraverso le pozze di fango, gli altri tre veicoli
selezionati per i test.
Dopo il successo dei test effettuati presso l’Esercito Americano, la FWD
debutta
nel 1912 con il primo vero modello di camion 4x4 di 3 tonnellate che si
candidava
a consolidare ulteriormente la fama conquistata nell’ambiente militare.
Questo obiettivo venne raggiunto con la partecipazione ad alcune manovre
militari con una flotta di 12 camion 4x4 (tra cui anche alcuni FWD Scout
Car) che seguì
una missione della Guardia Nazionale da Dubuque, nello Iowa, fino a Sparta
(Wisconsin).
Il successo dei camion fuoristrada della FWD è legato in parte anche a
quella
tendenza che caratterizza l’intero mercato automobilistico nel primo
decennio
del secolo scorso quando, con l’approssimarsi del primo conflitto
mondiale, la
produzione di automobili evidenziò una netta flessione (intorno al 1910)
a favore
di quella dei camion.
Tra le numerose aziende che adeguarono la produzione verso i mezzi pesanti
vi fu anche la Walter Automobile Company (fondata a New York nel 1902),
apprezzata
per le sue berline di lusso (famosa la Walmobile, prodotta fino al 1909),
che realizzò il primo camion 4x4 nel 1911 dopo aver mutato la ragione
sociale in
Walter Motor Truck.
Nel 1913 un’altra azienda americana, la Thomas B. Jeffery Company esordì
con un prototipo di camion 4x4 (2 tonn.) a quattro ruote sterzanti,
battezzato
“Quad”, entrato regolarmente in produzione a partire dal 1914. Con lo
scoppio
della Prima Guerra mondiale, appena innescata in Europa, questo veicolo
venne
subito “arruolato” presso gli eserciti russi, inglesi e francesi, dove
si comportò altrettanto
bene come in quello americano. Nel 1916 l’azienda venne ceduta alla
Nash Company e il Quad assunse la denominazione di Nash Quad.
Il nuovo camion venne costruito e venduto in un gran numero di esemplari
durante la Prima Guerra mondiale, ma le vendite iniziarono ad
affievolirsi progressivamente
a partire dal 1919 fino a quando, nel 1928, il Nash Quad uscì di
produzione.
Da ricordare nel 1914 l’apparizione del camion Renault EG, che segnò
l’ingresso
della Casa francese nel settore dei veicoli a trazione integrale; si
trattava
di un grosso e pesante camion destinato al trasporto di cannoni,
equipaggiato
con un motore da 7.2 lt. in grado di sviluppare 45 CV e una velocità
massima di
15 chilometri orari. Oltre alle quattro ruote motrici, ognuna delle
quali sterzanti,
disponeva di ruote gemellate che assicuravano una notevole motricità su
qualsiasi
tipo di terreno.
Nel 1915 la General Motors Truck costruì un prototipo sperimentale di un
camion
4x4 da 2 tonnellate che non entrò in produzione prima della metà degli anni
Trenta, mentre due anni più tardi la Oshkosh Motor Company (azienda creata
da alcuni soci del Wisconsin Duplex e della FWD) realizzò un nuovo prototipo
di camion 4x4 battezzato Old Betsy. Questo veicolo, caratterizzato da un
innovativo
design, pneumatici speciali e differenziale centrale autobloccante, era
disponibile
nelle versioni da 1 a 3 tonnellate. Il modello di serie, chiamato Model
A, entrò in produzione nel 1918 e all’epoca rappresentava il più
avanzato camion
4x4 esistente al mondo.
Quattro anni dopo arriva sul mercato americano un’altra azienda
automobilistica,
la American Coleman di Littleton (Colorado), che produce il primo camion
4x4 nel 1925. Specializzata soprattutto in veicoli a trazione integrale
di grossaportata, la Coleman entrò nel mercato dei fuoristrada leggeri
nel 1947 con un
veicolo derivato da un Chevy trasformato in un 4x4; la produzione di
fuoristrada
cessò nel 1956 e nel 1986 la Coleman si ritirò dal mercato.
Anche la popolarissima Ford T ha avuto (1923) una versione a quattro ruote
motrici, realizzata grazie a uno speciale kit di trasformazione messo a
punto da
una piccola azienda americana.
Tra le aziende europee, una delle prime a scendere in campo nel settore del
trasporto pesante a trazione integrale fu la Citroen (da sempre
all’avanguardia
in fatto di tecnologie innovative in campo automobilistico) che, agli
inizi degli
anni Venti, realizza il semicingolato Kegresse. Questo veicolo, a metà
strada tra
un’automobile e un carro militare, era caratterizzato da una struttura
ibrida che
vedeva l’adozione di due grossi cingoli nel retrotreno abbinati ad un
tradizionale
avantreno a ruote sterzanti.
Dotato di una motricità impressionante in qualsiasi condizione
ambientale, il
semicingolato Kegresse si impone ben presto anche nel settore dell’avventura
portando a termine quattro importanti spedizioni che segneranno una
pietra miliare
nella storia dell’esplorazione automobilistica: dopo aver concluso la prima
traversata sahariana (1922-23), il fuoristrada della Citroen percorre
tutta l’Africa,
da Algeri fino al Madagascar (“crociera nera”, 1924-25), l’Asia Centrale
(“crociera
gialla”, 1931-32) e l’Alaska (“crociera bianca”, 1934).
Nel frattempo negli stessi anni in Francia è ancora la Renault a mettere
a punto
un progetto per un veicolo espressamente progettato per l’utilizzo in
fuoristrada,
battezzato Six 10 CV, che dopo aver superato brillantemente una serie di
severi test di collaudo viene avviato alla produzione di serie; anche in
questo caso si tratta di un mezzo particolare (ancora lontano dai
fuoristrada tradizionali),
dotato di tre assi sui quali veniva adottato lo schema di trazione 6x4
(sei ruote di
cui 4 motrici). Negli anni successivi (a partire dal 1923) viene
sviluppata un’ulteriore
versione, battezzata MH, che nelle intenzioni della Renault doveva
rappresentare
la risposta alla “crociera nera” della Citroen; per qualche tempo i camion
Renault a 3 assi, adeguatamente attrezzati per il deserto, portarono in
giro in
lungo e in largo per le piste sahariane i facoltosi viaggiatori
provenienti da ogni
angolo dell’Europa.
A poco a poco la tipologia dei veicoli a trazione integrale inizia a
diffondersi
anche in altri paesi europei e, tra questi, è soprattutto la Germania
(grazie anche
alla collaborazione con l’austriaca Steyer e la cecoslovacca Tatra) ad
acquisire velocemente
le tecnologie più avanzate dell’epoca.
Nel 1922 la Mercedes-Benz avvia la produzione di fuoristrada leggeri
destinati
alle forze armate con il modello Gelandewagen 1 (G1), allestito su un
telaio molto
robusto a tre assi di cui due motrici (4x6); seguirono diversi altri
modelli fino
all’abbandono della gamma con il G4, una versione 6x6 ancora più potente
prodotta
in una serie molto limitata (57 modelli in tutto) destinata ad alcuni
alti ufficiali
del III Reich tra cui lo stesso Hitler.
Della Mercedes G4 vennero realizzate due versioni: una a 6 ruote motrici
e una,
la più diffusa, con trazione solo sui due assi posteriori; lunga
complessivamente
5.4 metri, alta 1.8 e larga 1.89, la G4 era equipaggiata con un motore a
8 cilindri
in linea di 5.019 cc. che erogava una potenza massima di 100 CV a 3.400
giri, cambio
a 4 velocità e differenziali bloccabili. Per quanto riguarda le
prestazioni, la
Mercedes G4 a 3 assi si disimpegnava con una certa disinvoltura sui
percorsi offroad
non particolarmente impegnativi (grazie all’altezza minima da terra di 23.3
cm.), mentre su strada consentiva di raggiungere una velocità massima di
65 Kmh.
con un consumo di 4 km./lt. (3 Km./lt. in fuoristrada).
Tra i 4x4 leggeri, uno dei veicoli che meglio di qualunque altro
esprimeva la
sintesi della più alta tecnologia dell’epoca fu senz’altro la BMW Typ
325, un fuoristrada a cinque porte con carrozzeria torpedo (soft-top)
destinata soprattutto
ad un utilizzo militare.
Il progetto iniziale, avviato nell’ambito di una più ampia
pianificazione militare
tesa a dotare le truppe della Wehrmacht di un veicolo da trasporto agile e
veloce, venne battezzato con la sigla “le.gl.Einch.Pkw.(4x4)”, acronimo
della denominazione
completa “leichter gelandeganging Einheits Personenkraftwagen
4x4” (auto fuoristrada leggera standardizzata a quattro ruote motrici).
Realizzato
in collaborazione con un’altra azienda tedesca (Stoewer), il primo prototipo
venne presentato nel 1936 e l’anno dopo la BWM (coadiuvata da una terza
azienda, la Hanomag) iniziò la produzione di serie della 325 che in
circa tre anni
venne prodotta in oltre 3.200 unità.
Il propulsore adottato per tutte le versioni era un 6 cilindri in linea
(2.000 cc. 50
CV a 3.759 giri/min.) in grado di fornire prestazioni molto brillanti;
dal punto di vista
fuoristradistico la BMW 325 era equipaggiata, oltre alle quattro ruote
sterzanti
(il volante poteva agire, a scelta, su 2 o 4 ruote), di trazione
integrale permanente,
sospensioni a ruote indipendenti e tre differenziali bloccabili.
Gli elevati costi di produzione si tradussero purtroppo anche in un
prezzo assai
elevato necessario per acquistare una BMW 325 che alla fine degli anni
Trenta
veniva a costare 6.000 marchi (circa il doppio di una Kubelwagen, venduta a
2.782 DM); ciò provocò una progressiva flessione nelle forniture
all’esercito tedesco
che ben presto, soprattutto nel corso della motorizzazione delle truppe
impegnate
nell’invasione della Russia, iniziò a sostituire la 325 con la più economica
Kubelwagen fino a quando (1940) la produzione venne definitivamente
abbandonata.
Sempre nel 1937 ritorna alla ribalta della produzione di 4x4 ancora una
volta
la Mercedes con la realizzazione della 35 che, oltre a rappresentare il
primo veicolo
a quattro ruote motrici prodotto dalla stella a tre punte, era dotata di
4 ruote
sterzanti con comando idraulico. Questo dispositivo assicurava alla Mercedes
35 una sorprendente versatilità anche nei passaggi più impegnativi,
evenienza
piuttosto ricorrente nel corso delle operazioni belliche cui era
destinata; equipaggiata
con un propulsore a 4 cilindri (2.000 cc., 50 CV a 2.500 giri/min.),
raggiungeva
una velocità max di 80 Kmh.
Il fiore all’occhiello della produzione tedesca alla vigilia del secondo
conflitto
mondiale rimane comunque la mitica Kubelwagen, caratterizzata dalla stessa
meccanica che equipaggerà alcuni anni dopo il famoso Maggiolino e una
carrozzeria
particolarmente spigolosa (da cui la denominazione kubel=tinozza). La
prima versione è ancora a due ruote motrici, ma ben presto verrà
introdotto anche
un modello a trazione integrale, affiancato successivamente da una
trasformazione
anfibia, la Schwimmwagen; anche quest’ultima, con carrozzeria chiusa
(simile alla struttura di uno scafo) ed elica retraibile, era dotata di
trazione integrale
inseribile, due differenziali bloccabili e una prima marcia ridotta,
molto corta,
che consentiva di superare pendenze fino al 60%.
La Schwimmwagen era equipaggiata con il tradizionale motore VW di 1.131
cc (25 CV) che consentiva una velocità massima di 80 Kmh. su strada,
mentre in acqua
(in condizioni di calma piatta e senza correnti) poteva raggiungere i 10
Kmh.
Tra il 1942 e il 1945 la Volkswagen produsse tuttavia anche una serie
limitata di
4x4 con la tradizionale carrozzeria del Maggiolino; questo modello,
opportunamente
modificato anche nelle sospensioni e nell’adozione di grossi pneumatici
tassellati,
era siglato con il numero 87 e venne costruito in 564 esemplari.
Tra il 1949 e il 1944 viene allestita in Francia una versione a quattro
ruote motrici
della Bugatti, denominata Tripper SG6/41; questo veicolo, costruito in circa
1.000 esemplari, era equipaggiato con motore Opel a sei cilindri o con
motore
Tatra a otto cilindri (SG7).
Nello stesso periodo all’altro capo del mondo, sul fronte asiatico, la
Mitsubishi
metteva in cantiere la PX 33 (riproposta in una versione remake verso la
metà
degli anni Ottanta, su telaio e meccanica del Pajero).
Sul fronte americano intanto, proprio a causa delle difficoltà emerse
durante
la guerra nell’ambito della movimentazione delle truppe e del trasporto
pesante,
si rafforza l’esigenza di poter disporre di un veicolo a quattro ruote
motrici che,
oltre a spiccate doti di versatilità e robustezza, fosse caratterizzato
anche da un
peso particolarmente contenuto in grado di assicurare un’estrema mobilità su
qualsiasi tipo di percorso e, non ultimo, risultasse aviotrasportabile
con relativa facilità. Fino ad allora i veicoli a quattro ruote motrici
realizzati in America erano
rappresentati in massima parte da camion 4x4 e, nonostante l’avvio della
produzione
di alcuni marchi (famosi i camion GMC e Dodge 4x4 costruiti tra il 1934 e il
1939) destinati ad un grande avvenire nel settore della mobilità a
trazione integrale,
si avvertiva l’esigenza di poter disporre di un fuoristrada leggero.
A tale scopo venne bandito un concorso dallo Stato Maggiore dell’Esercito
Americano per la realizzazione di un progetto dal quale sarebbe
scaturito un veicolo
con queste caratteristiche. Numerose furono le aziende contattate (135), ma
solo tre risposero all’appello e tra queste risultò vincitrice la Willys
Overland Inc.
che, nel 1940, presenta il primo prototipo della Jeep (che entrerà
ufficialmente
in produzione nel 1941), denominato MB, che riscuote immediatamente un
clamoroso
successo in tutto il mondo con ben 637.747 esemplari prodotti (359.851
dalla Willis e 227.896 dalla Ford, su licenza). Circa l’origine del nome
vi sono diverse
ipotesi che ancora oggi non mettono d’accordo tutti gli appassionati, ma
la più accreditata sembra essere quella che fa risalire la parola jeep
alla contrazione
dei vocaboli “general” e “purpose”, GP (traducibile approssimativamente
come “per tutti gli scopi”) utilizzati all’epoca della presentazione del
veicolo.
La Jeep era caratterizzata da una meccanica molto semplice (motore a 4
cilindri
di 2.199 cc., in grado di sviluppare 60 CV a 4.000 giri) e da un’estrema
versatilità, dimostrata dal successivo sviluppo di versioni
semi-cingolate, 6x6, anfibie e
corazzate, oltre al prototipo a 4 ruote sterzanti.
La versione anfibia, battezzata “Seep” (Seagoing Jeep) venne sviluppata
dalla
Marmon Herrington Co. in collaborazione con l’allora affermato studio
nautico
Sparkman & Stephens; lunga 4.65 metri e larga 1.6, la Seep pesava 1.500 Kg.
(540 in più della normale Jeep), poteva superare una pendenza massima
del 45%
e raggiungeva una velocità di 80 Kmh. su strada (8 Kmh. in acqua). La
sua produzione,
avviata nel 1942, prevedeva la realizzazione di 12.778 esemplari, ma
venne sospesa l’anno successivo quando erano state costruite circa 6.000
macchine.
La notevole pianificazione di motorizzazione militare avviata dagli
Stati Uniti
si estese tuttavia anche nel settore della produzione dei truck di 3/4
tonnellate
a trazione integrale che nel 1942 portò alla nascita della Beep, nota
anche come
la “Gippona”. Realizzata dalla Dodge Division della Chrysler Corporation
che,
in collaborazione con la Ford, aveva presentato il prototipo di un truck
da 3/4
tonnellate, la Beep era disponibile in diversi allestimenti di
carrozzeria (torpedo,
station wagon, pick-up, ambulanza, autobotte, etc.) e, a partire dal
1943, venne
introdotto anche un modello 6x6 (portata una tonnellata e mezza).
Entrambe le versioni erano equipaggiate con un motore a 6 cilindri di 3.786
cc. in grado di sviluppare 92 CV a 3.200 giri, con cambio a 4 velocità,
sospensioni
a balestre longitudinali e freni a tamburo; l’adozione del riduttore era
invece disponibile
solo sulla versione 6x6. Per i vertici dell’esercito a stelle e strisce
venne
inoltre allestita una speciale versione della Beep, denominata “Truck
Command”,
munita di verricello anteriore e in grado di superare una pendenza
massima del
60%.
Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale un altro veicolo che svolse un
ruolo
particolarmente significativo nella movimentazione delle truppe europee fu
la Steyr 1500, realizzata dall’austriaca Steyr (un’antica fabbrica di
armi, fondata
nel 1864, che iniziò la produzione di motori per l’aviazione durante il
primo conflitto
mondiale avviando la realizzazione dei primi autoveicoli nel 1920). La Steyr
1500, nata dopo la fusione aziendale con un altro marchio nazionale (Austro
Daimler Puch) avvenuta nel 1934, è una grossa torpedo a quattro ruote
motrici
ad 8 posti (V8, 3.517 cc.) prodotta in oltre 12.000 esemplari.
Con la fine della guerra il mito della Jeep non va in pensione, ma
continua a
diffondersi in tutto il mondo grazie alla produzione avviata su licenza
in diversi
paesi sudamericani (Argentina e Brasile), orientali (Giappone, India,
Corea e
Taiwan) e mediterranei (Spagna, Turchia, Egitto e Israele).
L’esigenza di poter disporre di un fuoristrada adeguato ai più disparati
impieghi
operativi nel corso delle operazioni militari legate alla Seconda Guerra
Mondiale veniva comunque avvertita anche dalle forze armate di quei
paesi che,
non allineandosi con alcun schieramento, si erano dichiarati neutrali.
Uno di questi
nella vecchia Europa era la tranquilla Svezia che, ritenendo forse non molto
credibile un simile atteggiamento in condizioni di disarmo, decise di
mostrare comunque
i muscoli anche nel settore della mobilità delle truppe avviando un progetto
destinato alla produzione di nuovi veicoli appositamente realizzati per
l’utilizzo
off-road.
Naturalmente fu la Volvo, la maggiore azienda nazionale, ad impostare una
nuova berlina a trazione integrale. Era il 1943 quando venne varato il
primo prototipo
della Volvo PV 801/802, entrata in produzione l’anno dopo e costruita fino
al 1946 in oltre 200 esemplari. Equipaggiata con un motore di 3.670 cc.
(6 cilindri,
86 CV), il fuoristrada della Volvo, pur assicurando prestazioni di tutto
rispetto,
evindenziò diverse lacune negli impieghi più gravosi, sia per l’eccessiva
lunghezza del passo che per alcuni problemi legati alla carburazione e
sistema di
lubrificazione che si manifestavano soprattutto in presenza di forti
pendenze.
Sempre nel 1943 apparve anche la Gaz 67, la prima autovettura russa
militare da
fuoristrada dalle modeste prestazioni e fortemente ispirata
(stilisticamente e meccanicamente)
alla Bantam; questo modello, utilizzato prevalentemente sul territorio
nazionale, verrà ulteriormente sviluppato dieci anni dopo (1953) con il
debutto
della Gaz 69, antesignana delle attuali Uaz attualmente ancora in
circolazione.
Il 17 luglio del 1945 la Willis è la prima azienda automobilistica
statunitense a presentare
il nuovo modello del dopo-guerra, riveduto e corretto per un utilizzo in
abiti civili.
Nasce così la Jeep “Universal” che viene posta in vendita al prezzo di
1.090 dollari,
affiancata a partire dal 1946 dalla prima station wagon a due porte
interamente
realizzata in carrozzeria metallica; nel 1947 sono oltre 100.000 le Jeep
civili
prodotte (ca. 25.000 quelle esportate nel mondo).
Negli stessi anni la Dodge lancia sul mercato americano la Power Wagon, uno
dei più famosi pick-up 4x4 mai apparsi negli Stati Uniti; entrata in
produzione
nel 1946, la Power Wagon verrà costruita in larga scala fino al 1971 pur
continuando
ad essere prodotta in una serie limitata fino al 1978.
Ancora pochi anni e, nel 1948, debutta sulla ribalta internazionale la
mitica
Land Rover che, continuando la tradizione avviata con la Jeep, presenta
una carrozzeria
decisamente innovativa per l’epoca interamente realizzata in alluminio
(l’acciaio industriale era stato quasi tutto assorbito dalla produzione
bellica); in
breve tempo la Land Rover si afferma in tutto il mondo, divenendo in
pochi anni
il simbolo della mobilità a motore in fuoristrada.
Il progetto “Land Rover” (land = terra e rover = vagabondo) venne
avviato all’inizio
del 1947 e i primi prototipi vennero allestiti a tempo di record nello
stesso
anno; non essendo ancora perfettamente messo a punto il telaio progettato
dalla Rover, venne utilizzato il telaio di una Jeep Willis sul quale
venne assemblata
la carrozzeria in alluminio e altre componenti prelevate dalle berline di
produzione Rover. Il motore era un quattro cilindri di 1.389 cc. in
grado di sviluppare
48 CV, mentre la trasmissione integrale permanente era abbinata ad un
tradizionale cambio stradale sul quale era montato un riduttore di nuova
progettazione. Superati i primi test di collaudo, la Rover approva la
delibera (il 4 settembre
del ‘47) per la realizzazione della prima preserie (50 veicoli) per
affrontare
l’ormai imminente esordio.
Il debutto ufficiale avviene il 30 aprile del 1948 presso i padiglioni
del Salone
dell’Automobile di Amsterdam, dove viene presentata la prima Land Rover 80,
così denominata in riferimento alla lunghezza del passo (80 pollici)
corrispondente
a 2,032 metri.
L’immediato successo riscosso fin dalla sua prima apparizione viene
inoltre ulteriormente
confermato dalle crescenti ordinazioni che arrivano ben presto da
ogni angolo del pianeta e la stessa famiglia reale ne subì il fascino.
Re Giorgio V,
dopo averla provata a lungo nei dintorni del castello di Balmoral,
ordinò diversi
esemplari per le varie residenze di corte e anche alcuni personaggi
della politica
restarono affascinati dal nuovo fuoristrada (famosa la foto del grande
statista
Winston Churchill immortalato, con il suo immancabile sigaro, al fianco
della
Land Rover).
L’azienda di Solihull venne ben presto subissata di ordinazioni e, per
evadere
la crescente mole di richieste, la Land Rover decise di avviare la
produzione su licenza
in numerosi paesi europei. Tra questi i più tempestivi furono il Belgio
(dove
la Land assunse il nome di Minerva), la Germania (che la mise in produzione
con il nome di Tempo) e la Spagna dove ancora oggi viene costruita con
il marchio
Santana.
Già nel 1956 la Land Rover veniva allestita in 30 nazioni diverse grazie
all’adozione
di numerose componenti che, abbinate a kit di montaggio preassemblati,
venivano importate direttamente dalla Gran Bretagna. Nel 1958 debutta la
II Serie, mentre la III Serie verrà introdotta nel 1971.
Pochi anni dopo il debutto della Land Rover si affaccia nel mondo del
fuoristrada
anche l’industria del Sol Levante quando, nel 1950, l’Esercito Americano
si rivolge alla Toyota per la realizzazione di un veicolo che fosse
particolarmente
resistente, forte e indistruttibile per i suoi soldati di stanza in
Giappone.
In realtà la Toyota aveva già avviato, nel corso della Seconda Guerra
Mondiale,
un progetto per la realizzazione di un veicolo 4x4 (1/4 tonn.)
battezzato AK-
10 che entrò in produzione solo a conclusione del conflitto.
Dopo la commessa statunitense i tecnici della Toyota si rimettono al
lavoro e
nell’arco di sei mesi fu allestito il primo modello BJ che, quattro anni
più tardi,
verrà commercializzato come Land Cruiser riscuotendo un grande successo in
ogni angolo del mondo (negli Stati Uniti arriverà nel 1958 con la sigla
FJ-25) rivelandosi,
soprattutto sulle piste sahariane, come la più temibile rivale della Land
Rover.
Va sottolineato inoltre che in quegli anni l’industria automobilistica
giapponese,
allineandosi ad un’esigenza del resto avvertita da molte case
costruttrici europee e americane, era molto più attenta alle richieste
provenienti dal settore
militare che non alle esigenze del mercato civile.
Non riuscì a sottrarsi a questa tendenza neanche la Nissan (nata nel 1933 a
Yokoama) che, proprio all’indomani della conclusione della Seconda Guerra
Mondiale, riceve dall’Esercito imperiale l’incarico di studiare un
fuoristrada simile
alla Jeep basandosi su alcuni esemplari sequestrati alle truppe
americane catturate
nel Pacifico. I vari progetti vennero tuttavia ben presto abbandonati, e
non solo nell’ambito delle 4x4, per cui la Nissan si dedicò
esclusivamente alla produzione
dell’autocarro 180 (avviata agli inizi degli anni Quaranta). Con l’avvento
degli anni Cinquanta inoltre iniziava a surriscaldarsi di nuovo la
situazione politica
in tutto l’Estremo Oriente e gli stessi Stati Uniti, presagendo il ruolo non
trascurabile delle forze armate nipponiche nelle turbolenze che si
stavano innescando
in Vietnam e Corea, premono nuovamente sulle case automobilistiche
giapponesi invitando la Nissan a rispolverare i progetti relativi alla
produzione
di 4x4.
Dopo una serie di prototipi realizzati sulla falsariga della Jeep, la
Nissan presenta
nel 1951 la Patrol 4WD 60 che, com’era prevedibile, ricordava molto da
vicino
la gloriosa fuoristrada americana del ‘41.
Nel panorama europeo la Renault lancia nel 1951 la Colorale Prairie, una
mastodontica
station-wagon 4x4 destinata sia al trasporto agricolo che alla
movimentazione
nelle colonie francesi africane. La notevole altezza minima da terra,
seppur penalizzando l’accesso nell’abitacolo, assicurava ottime
prestazioni nell’utilizzo
in fuoristrada ma il veicolo (allestito anche versione pick-up, con porta-
Nissan Patrol ta fino a 500 Kg.) ebbe uno scarso successo nelle vendite
a causa del prezzo elevato
e delle modeste prestazioni, lontane da quelle assicurate da Jeep e Land
Rover.
Agli inizi degli anni ‘50 finalmente anche la produzione italiana,
seppur tardivamente
dopo alcune esperienze nel settore dei camion militari, si cimenta nel
campo dei fuoristrada; sia l’Alfa Romeo Matta che la Fiat, infatti,
partecipano al
concorso indetto dal Ministero della Difesa per la realizzazione di un
veicolo militare
leggero e nascono così la Matta e la Campagnola.
L’Alfa Romeo Matta, così battezzata dall’ingegner Antonio Alessio, all’epoca
direttore generale dell’Alfa, per le sue eccezionali doti di robustezza
e l’estrema
versatilità evidenziata (fino ad allora inedita) nell’utilizzo off-road
di un veicolo,
era caratterizzata da un avantreno a ruote indipendenti e un tipo di
allestimento
che, seppur adattabile ad impieghi civili, rimaneva tuttavia
circoscritto in un
ambito prettamente militare. I primi studi iniziarono nel gennaio del
‘51 e già
nell’aprile dello stesso anno era pronto il primo prototipo per i
collaudi; il primo
modello di serie uscì dalle catene di montaggio di Napoli nel marzo del
‘52. L’Alfa
Romeo Matta, prodotta complessivamente in 2.200 esemplari prima di uscire
di produzione del ‘53, fu protagonista di un’importante spedizione
amazzonica
nel Mato Grosso e in un’edizione della Mille Miglia si concesse persino
il lusso di
battere una Fiat Campagnola.
Assai simili erano le caratteristiche tecniche della Fiat Campagnola D, il
cui debutto avviene alla Fiera del Levante di Bari del 1951 dove viene
presentato
il modello “D” con motore a benzina (1.901 cc., 19 CV, 100 Kmh.), da
cui deriva anche la versione militare denominata A.R. 51 (Autovettura
Ricognizione
1951); a partire dal ‘53 la Campagnola viene costruita anche nella
versione con motore diesel (1.901 cc., 40 CV, 85 Kmh.) e le successive
versioni
(A.R. 51 B, A.R. 55 e A.R. 59) resteranno in produzione fino al 1973: la
produzione
complessiva è stata di 39.076 veicoli, di cui 7.783 diesel.
Grande agitazione sul mercato tedesco nel 1954 quando tre grosse aziende
nazionali (Auto Union, Goliath e Porsche) presentano i prototipi per una
4x4 militare
destinata alla Bundeswehr (l’esercito tedesco). Il prototipo Goliath era
equipaggiato
con motore anteriore a due tempi a 3 cilindri (886 cc., 40 CV) e tre anni
dopo verrà riproposto con un motore a quattro tempi più potente (1.093
cc., 50
CV) e la trazione integrale abbinata alle marce ridotte. La Porsche
presenta un
prototipo dalla linea a cuneo molto moderna, equipaggiato con un motore
raffreddato
ad aria di 1.488 cc. (50 CV) e differenziale posteriore autobloccante; due
anni dopo esordisce un secondo prototipo Porsche 4x4 con motore di 1.582 cc.
Entrambi questi modelli furono scartati dai vertici della Bundeswehr che
preferirono
il terzo prototipo realizzato dalla Munga D.K.W., battezzato Munga in
riferimento alla corrispondente sigla dell’idioma tedesco “Mehrzweck
Universal
Gelandewagen mit Allradantrich” (veicolo universale da fuoristrada a quattro
ruote motrici).
Anche la Munga (analogamente al prototipo della Goliath) disponeva di un
propulsore a due tempi (3 cilindri in linea, raffreddato ad acqua) di
896 cc. in grado
di sviluppare 38 CV a 4.200 giri. Dotata di trazione integrale permanente e
marce ridotte, la Munga era disponibile solo nella versione con
carrozzeria aperta
e consentiva di superare una pendenza massima del 60%. Nel 1957 venne
introdotta
una versione leggermente più potente (40 CV), mentre tra il ‘54 e il ‘56
apparvero anche alcune versioni con motore da 980 cc. (44 CV).
Nonostante le prestazioni limitate e i consumi non proprio contenuti (17
lt./100 Km. in fuoristrada), la Munga riscosse un discreto successo
nelle commesse
militari e rimase in produzione fino al 1968 (oltre 50.000 gli esemplari
consegnati
alla Bundeswehr) registrando un certo numero di vendite (ca. 500 veicoli)
anche nella versione civile.
Negli stessi anni (1954), nella Corea del Sud, la Ssang-Yong avvia la
produzione di una 4x4 (costruita su licenza Jeep) destinata alle forze
armate.
Da segnalare nello stesso periodo l’entrata in produzione della GAZ 69,
un veicolo
russo con motore anteriore longitudinale (2.430 cc., 65 CV), disponibile sia
nella versione torpedo (4 porte, 5 posti) che nell’allestimento pick-up
(con cassonetto
posteriore e 8 posti); prodotta dal ‘52 alla fine degli anni Sessanta,
la Gaz
69 era destinata soprattutto per equipaggiare le forze armate del Patto
di Varsavia,
ma riscosse un discreto successo anche nell’impiego civile.
Nel ‘56, pur mantenendo lo stesso nome, assunse la denominazione ufficiale
di Uaz 69 fino a quando, uscita di produzione, venne sostituita dalla
Uaz 469 il
cui prototipo iniziale risale al 1961.
Sulla scena europea riappare intanto la svedese Volvo che, rispolverando il
progetto della PV 801/802 che aveva esordito dieci anni prima, lancia
sul mercato
delle 4x4 militari la nuova TP 21. Questo modello, seppur derivato dalla
precedente
versione, presenta tuttavia numerose innovazioni tecnologiche che
avrebbero dovuto eliminare i difetti della prima Volvo a trazione
integrale. La
nuova TP 21, oltre al passo accorciato e ad una maggiore altezza minima
da terra
(ulteriormente esaltata dall’adozione di ruote maggiorate), presenta anche
una carrozzeria più contenuta nelle dimensioni, ma sempre a 4 posti, e
un motore
leggermente incrementato nella potenza (da 86 a 90 CV). Inedito anche il
nuovo frontale che non contribuisce comunque ad alleggerire le linee
molto dure
e squadrate del veicolo (i connazionali continuano a chiamarlo “sugga”, che
in svedese significa “scrofa”, per
via del lungo muso). La Volvo TP
21 venne prodotta tra il 1953 e il
1958 in 720 esemplari nel suo allestimento
base, oltre a numerose
altre versioni introdotte negli anni
successivi. Tra queste ricordiamo
la Volvo P 2104 Special (a 7 posti,
presentata nel 1954 e rimasta
solo allo stadio di prototipo) e la
Volvo 6x6 P 2204/TL 22, prodotta
in 857 esemplari tra il 1954 e il
1958.
Lo scarso successo nelle vendite,
nonostante l’elevato standard
qualitativo sempre all’altezza della
Volvo e l’affidabilità nelle prestazioni,
è riconducibile essenzialmente
a motivi politici dovuti proprio
alla condizione di neutralità
della Svezia. I contrapposti blocchi militari che si stavano formando in
Europa infatti
(da un lato la Nato e dall’altro il Patto di Varsavia), tendevano a
dotare i propri eserciti con veicoli già ampiamente collaudati
(soprattutto Jeep, Land Rover
e Gaz), mentre per esigenze di trasporto più pesanti erano disponibili
sul mercato
dell’usato i robusti e mastodontici Dodge americani, “reduci” della Seconda
Guerra Mondiale e molto accessibili nel prezzo.
L’ultima versione fu la 4x4 L 2034, nota come “Valpen” (“cucciolo”), che
decretò
la definitiva uscita di scena della Volvo dal settore dei fuoristrada.
A proposito dei veicoli americani è proprio la Dodge a lanciare nel 1957 un
nuovo camioncino 4x4, equipaggiato con motore a 8 cilindri, affiancato
ben presto
da alcune versioni espressamente realizzate per l’uso civile (Town Wagon e
Town Panel); nello stesso anno la Chevrolet lancia lo Chevy 3100, un
altro pickup
4x4 destinato a riscuotere un grande successo sul mercato americano.
Un altra tappa significativa del fuoristrada americano porta la firma
della Ford
che, nel 1959, lancia sul mercato due nuovi modelli di pick-up 4x4,
l’F-100 e l’F-
250, entrambi destinati a svolgere negli anni successivi un ruolo
fondamentale
nella storia dell’off-road a stelle e strisce.
Nella prima metà degli anni Cinquanta si afferma inoltre, per un breve
periodo,
anche la Austin Champ prodotta dalla British Motor Corporation; dopo la
realizzazione dei primi prototipi, debuttano una versione civile (1952)
e una militare
(1953), ma dopo alcuni anni la produzione viene abbandonata nel 1956.
Maggiore fortuna ebbe invece un’altra interessante 4x4 di origine americana,
la M 422, anch’essa destinata alle forze armate impegnate sul fronte
vietnamita.
Nota come la “Jeep dei Marines” e affettuosamente ribattezzata “Mighty Mite”
(piccola forzuta), la M 422 nasce dall’esigenza di equipaggiare il corpo
dei Marines
con un nuovo veicolo che fosse particolarmente adatto alle operazioni
militari
nella giungla. Il primi prototipi vennero realizzati nel 1953 dalla Mid
America
Research Corporation, equipaggiati con motore Porsche raffreddato ad aria a
4 cilindri (44 CV), con cambio a tre marce e trazione integrale permanente.
Dopo una lunga serie di collaudi, nel 1959, inizia la produzione di
serie da parte
dell’American Motors e la M 422 viene equipaggiata con un motore progettato
e costruito dalla Casa americana (un 4 cilindri a V interamente
realizzato in
alluminio e raffreddato ad aria), con trazione anteriore inseribile. La
Mighty Mite,
costruita in circa 4.000 esemplari, rimane in produzione fino al 1963.
Chiudono la panoramica dei principali fuoristrada europei degli anni
Cinquanta
la Gipsy della Austin e l’Halflinger dell’austriaca Steyr. Caratterizzata da
una linea compatta e abbastanza originale nel frontale, la Gipsy
introduce nel
1958 la novità delle sospensioni a quattro ruote indipendenti abbinate
per la prima
volta a dei silent-block di gomma; equipaggiata con cambio a 4 velocità
e trazione
anteriore inseribile, era disponibile sia nella versione a benzina
(2.199 cc.,
62 CV) che a gasolio (2.178 cc., 55 CV). La Gipsy venne sostituita dalla
Austin della
II Serie nel 1960 (MK II, 72 CV), affiancata anche dalla versione a
passo lungo.
Dal 1958 al 1968 la Gipsy venne prodotta in oltre 17.000 unità e un
numero limitato
di esemplari venne importato anche in Italia.
L’Halflinger della Steyr debutta nello stesso anno della Gipsy e, pur
discostandosi dalla tradizionale tipologia dei fuoristrada più diffusi,
riscuote un certo
successo grazie alla carreggiata ad ampiezza limitata (largo 1.35 mt.)
che la rendevano
particolarmente adatta per un utilizzo lungo le mulattiere alpine.
Equipaggiata
con un motore bicilindrico raddreddato ad aria di 643 cc. (22 CV a 4.500
giri, 75 Kmh.), era dotata di trazione anteriore inseribile, bloccaggio
dei differenziali
e nell’utilizzo in fuoristrada superava pendenze massime del 65%.
Tra le proposte originali apparse sul mercato dei veicoli a trazione
integrale,
ed in particolar modo delle piccole vetture derivate dalla produzione di
serie, va
segnalato il debutto nel 1958 della Citroen 2 CV a quattro ruote motrici.
Strettamente derivata dalla 2 CV
di serie, la versione 4x4 della storica
utilitaria francese, battezzata
“Sahara”, era caratterizzata dall’adozione
di due motori raffreddati
ad aria di 425 cc. (13.5 CV a 4.500 giri),
sempre derivanti dal modello di
serie, montati sull’avantreno anteriore
e su quello posteriore; la velocità
massima raggiungibile sfiorava
i 100 Kmh., mentre la pendenza
massima superabile si aggirava attorno
al 45%.
Negli anni Sessanta (mentre in Romania la Aro avvia la produzione di una
4x4,
denominata M 461, analoga alla Gaz 69) anche la Ford torna in prima
linea nel settore delle auto a quattro ruote
motrici, con la Mutt M 151, un fuoristrada
equipaggaiato con un propulsore
a quattro cilindri (2.319 cc.) in
grado di sviluppare 71 CV a 4.000 giri
al minuto.
Esaurite le vicende nel corso del
secondo conflitto mondiale, l’esercito
americano si ritrova di nuovo al
fronte (dopo circa cinque anni) nella
guerra di Corea. La Jeep, fino ad allora
leader indiscussa della mobilità militare a stelle e strisce, inizia a
dimostrare
i primi acciacchi per cui l’U.S. Army avverte l’esigenza di poter
disporre di un nuovo
veicolo nel settore dei mezzi per supporto tattico.
Nel 1951 la Ford riceve la commessa per lo studio di una nuova vettura
che, oltre
ad esprimere migliori prestazioni, potesse anche candidarsi ad erede della
Jeep.
Il primo prototipo viene presentato nel 1952 ma, dopo lunghi quanto
interminabili
collaudi, la produzione di serie della M 151 viene avviata solo nel 1959.
Il nome Mutt deriva dalla sigla Military Utility Tactical Truck (veicolo
militare per
impiego tattico) e il battesimo di fuoco avverrà poco dopo nel corso
delle prime
avvisaglie della guerra in Vietnam.
Nel 1964, dopo 35.000 veicoli prodotti, debutta la versione M 151 A1 (ca.
100.000 esemplari) rafforzata nelle sospensioni posteriori e dotata di
un kit per
l’impiego nelle regioni polari. Equipaggiata con un motore a 4 cilindri
di 2.319
cc. (71 CV a 4.000 giri), la M 151 era dotata di un cambio a tre marce
abbinato ad
un “primino” per l’utilizzo in fuoristrada, mentre l’inserimento della
trazione anteriore
poteva effettuarsi anche in marcia; le prestazioni su strada consentivano
una velocità massima di 106 Kmh., con una pendenza massima superabile del
60%. L’ultima versione ulteriormente rimaneggiata (Mutt 151 A2)
esordisce il 26
gennaio del 1970.
Contemporaneamente alla produzione della M 151 realizzata dalla Ford, nel
1959 la American Motor Corporation lancia, come già ricordato, sul
mercato la
“Mighty Mite” conosciuta con la sigla M 422.
Costata alla A.M.C. cinque lunghi anni di studio per lo sviluppo del
prototipo,
la Mighty Mite era destinata soprattutto alle truppe aviotrasportate e
da sbarco;
il motore a 4 cilindri raffreddato ad aria (1.775 cc., 55 CV a 3.600
giri) era dotato
di cambio a 3 marce più il classico “primino”, mentre la velocità
massima raggiungibile
era di 96 Kmh.
Nel 1961 la Renault lancia sul mercato la R4, una piccola vettura destinata
a restare nella storia dell’automobile che verrà prodotta fino al 1993,
conquistando
un ruolo di rilievo (assieme alla Mini e alla 2CV della Citroen) nella
nicchia delle auto “evergreen”. La Renault 4 inoltre ebbe anche un
discreto successo nell’ambito del fuoristrada
grazie alla trasformazione della Sinpar, un’azienda francese
specializzata nella
trasformazione di veicoli di serie che elaborò diverse versioni a
quattro ruote
motrici. La prima Renault 4 Sinpar 4x4 esordì nel 1966 in versione
pick-up, riscuotendo
ottimi risultati nel Rally des Cimes nonostante le modeste prestazioni
assicurate
dal suo propulsore di soli 850 cc.; le principali modifiche realizzate dalla
Sinpar riguardavano l’adozione di una scatola di rinvio collocata
anteriormente al
cambio originale, un dispositivo per l’innesto della trazione integrale
sul cruscotto,
un nuovo retrotreno e una serie di modifiche estese alle sospensioni, al
serbatoio
di carburante e alla ruota di scorta.
Sempre nel 1961 un’azienda americana, la International Harvester, scuote il
panorama mondiale della produzione di 4x4 con la presentazione della Scout,
un fuoristrada che per la prima volta offre qualcosa (un minimo di
comfort) che
nessun veicolo off-road aveva finora preso in considerazione.
L’arrivo sul mercato dell’International Scout rappresentò inoltre uno
dei maggiori
incentivi per lo sviluppo del Bronco da parte della Ford e, probabilmente,
svolse un ruolo determinante anche nella gestazione del Blazer e della
Range Rover.
Successivamente la Scout riscosse un notevole successo per molti anni grazie
anche all’introduzione di nuove versioni (come la Scout 80 del ‘64) fino
a quando,
nel 1980, uscì definitivamente di produzione in seguito ad una serie di
vicissitudini
aziendali.
Sempre nel 1961 la Ferguson (un’azienda inglese di Coventry specializzata
nella produzione di organi di trasmissione) realizza un prototipo a
quattro ruote motrici (una station-wagon carrozzata da Michelotti)
decisamente originale e
all’avanguardia per l’epoca. Equipaggiata con un motore boxer a quattro
cilindri
(2.200 cc., 100 CV) la Ferguson SW 4WD disponeva di trazione integrale
permanente,
cambio automatico e dispositivo di bloccaggio di frenata. Questo veicolo
non entrò in produzione, ma diversi elementi della sua innovativa tecnologia
vennero adottati qualche anno più tardi (1966) sulla Jensen Interceptor FF
(equipaggiata con motore Chrysler) che rimase in produzione fino al 1971.
Verso la fine del 1961 approda in America la Nissan Patrol che, grazie
alle sue
qualità di robustezza e affidabilità, ebbe un buon impatto nel mercato
americano
riscuotendo un discreto successo nelle vendite.
Con la presentazione del Ford Bronco, il cui debutto risale alla fine
del 1965,
il settore dei veicoli ricreazionali leggeri a quattro ruote motrici
subisce una radicale
trasformazione d’immagine che, inevitabilmente, si tradusse anche in una
più massiva penetrazione di mercato.
Il Bronco non era esattamente un camioncino simile a quelli fino ad
allora apparsi
sul mercato, né rientrava nella tradizionale tipologia delle station-wagon.
La sua peculiarità essenziale era quella di sintetizzare al meglio le
caratteristiche
di entrambe le categorie, estendendone inoltre la versatilità d’utilizzo
grazie all’adozione
delle quattro ruote motrici. Quando appare la versione successiva
equipaggiata con un motore V8, agli inizi del 1966, il Bronco è il primo
fuoristrada
americano a montare un simile propulsore su una 4x4 compatta; una nuova
versione a 6 cilindri viene introdotta nel 1966 e nel 1977 questo
modello esce
di produzione.
Nel 1967 la Jeep lancia sul mercato la famosa Commando, un fuoristrada
completamente
diverso nell’impostazione rispetto ai tradizionali modelli della Casa
americana. Lunga 4.43 metri, la Commando monta un motore V6 di 3.802 cc.
(100
CV a 3.600 giri) e viene allestita con carrozzeria station-wagon a 2
porte con tetto
rigido asportabile.
L’anno dopo debuttano sul mercato italiano la Ranger, una piccola vettura a
quattro ruote motrici su meccanica Fiat 600 (presentata già nel ‘66 al
Salone di
Torino nella versione a due ruote motrici), e la Yeti; quest’ultima,
allestita su meccanica
Fiat 850, rimase però confinata alla fase di prototipo nonostante le sue
interessanti
caratteristiche tecniche (quattro ruote motrici e sterzanti).
Sul finire degli anni Sessanta esordisce in Giappone un altro
fuoristrada destinato
a fare epoca quando la Suzuki avvia il progetto per una 4x4 leggera
riservato
al mercato interno delle vetture di piccola cilindrata.
Era il 1968 e la Suzuki, dopo una serie di prototipi destinati a mettere
a punto
le caratteristiche del nuovo veicolo, avvia la produzione di una
limitata preserie
della Jimny. Questo veicolo, estremamente leggero (600 Kg.) e compatto
nelle dimensioni (il passo misurava appena 1.93 mt.) e dotato di una
straordinaria
maneggevolezza, era inoltre estremamente semplice dal punto di vista
meccanico.
Il motore a due tempi, raffreddato ad aria, era un bicilindrico di 360
cc. in grado di sviluppare 25
CV consentendo al
veicolo una velocità
massima di circa 80
Kmh.
Anche la carrozzeria,
seppur ispirata
nelle linee essenziali
a quella della Jeep,
era molto semplice e
spartana con le portiere
in tela e il vetro
anteriore ribaltabile
anterior-mente sul
cofano motore.
Per limitare al
massimo gli ingombri
esterni vi erano
inoltre solo tre posti
poiché, a lato del sedile posteriore, era stata inserita la ruota di
scorta. La Suzuki
Jimny entrerà regolarmente in produzione in tutto il Giappone a partire
dal 1970
(con la siglia LJ 10), divenendo in pochi anni uno dei più diffusi 4x4
nel settore
dei fuoristrada leggeri.
Quattro anni dopo viene lanciata sul mercato australiano la nuova
versone (LJ
50) con un motore maggiorato (540 cc.) a 3 cilindri. Nel 1977 debutta
sul mercato
nazionale la LJ 80 (800 cc., 4 cilindri) che, l’anno successivo,
rappresenta la prima
Suzuki 4x4 esportata in Europa.
Nel 1969, prima dell’avvento sul mercato della Range Rover, la General
Motors
lancia il glorioso Blazer realizzato (come già ricordato) sulla scia
delle innovazioni
stilistiche e d’utilizzo introdotte dall’International Scout e dal Ford
Bronco,
spingendosi ancora oltre in quanto a design e tecnologia. Decisamente
più grande
nelle dimensioni sia della Scout che del Bronco, il Blazer nasce come un
camion
fuoristrada di mezza tonnellata ed ha il suo asso nella manica nella
soluzione fornita
del tettuccio amovibile che, una volta montato sul veicolo, lo
trasformava in
una comfortevole station-wagon.

[pausa caffè]
--
Diego *Nerone*
Diego®
2015-06-13 22:13:12 UTC
Permalink
Il 13/06/15 23.58, Diego® ha scritto:


[dopo 2 redbull]

...
Dalla Range al tramonto
della Campagnola 1970-1979

Tra i variegati movimenti d’opinione e i bizzarri fenomeni di costume
che hanno
contrassegnato i “favolosi” anni Sessanta, sembra che una delle
questioni più
travagliate sia stata quella scaturita da uno strano malessere di alcuni
nobili possidenti
inglesi. Un’inquietudine appalesatasi soprattutto nel corso dei week-end
alla dimora rurale immersa nelle highland (o durante le trasferte
motorizzate che
precedevano la cerimonia della caccia alla volpe) quando gli
aristocratici più avventurosi
erano costretti a subire, loro malgrado, lo scarso comfort offerto dagli
spartani fuoristrada dell’epoca rappresentati in massima parte dalle
Land 88 e
109.
Per ovviare a questi fastidiosi elementi di turbativa i progettisti
della Rover furono
costretti a rimboccarsi le maniche, avviando la progettazione di un nuovo
veicolo che in breve tempo avrebbe rivoluzionato l’utilizzo delle 4x4,
oltre ad iniziare
quella che (senza alcun ombra di dubbio) può essere considerata come l’era
moderna del fuoristrada.
Siamo nel 1970 e l’azienda di Solihull, ancora una volta, con la
presentazione
della Range Rover, riesce ad imprimere un’altra pietra miliare nella
storia del fuoristrada.
In realtà l’idea di realizzare un veicolo che, oltre ad esprimersi al
meglio in
qualsiasi situazione off-road, fosse in grado di disimpegnarsi con
altrettanta disinvoltura
anche su strada e nelle lunghe marce di trasferimento su asfalto, è assai
più remota e si era insinuata tra i progettisti della Land Rover
(indipendentemente
dalle aspettative dei baronetti) fin dai primi anni di attività
dell’Azienda.
Era infatti il lontano 1950, appena due anni dopo il debutto al Salone
di Amsterdam,
quando venne avviato il progetto di un nuovo veicolo denominato
Road Rover caratterizzato da dimensioni maggiori rispetto alla classica
Land;
questo veicolo, rimasto allo stadio di prototipo, era caratterizzato da
una carrozzeria
tipo station-wagon, con rifiniture molto curate e assai simili a quelle di
un’autovettura. Neanche il prototipo successivo, realizzato nel ‘57 e
battezzato
Road Rover Serie II, ebbe uno sviluppo nella produzione di serie e venne
ben presto
abbandonato.
Ancora una volta i progettisti della Rover si resero conto che per
sfornare un
nuovo modello, in grado di affermarsi su tutti i mercati mondiali,
doveva attingere
ispirazione dalla produzione americana. Analogamente a quanto era già
avvenuto per la nascita della Land Rover (uno dei primi prototipi era
realizzato su telaio della Jeep Willis), anche per la Range Rover si
rivelò determinante l’influenza
della produzione fuoristradistica americana degli anni Sessanta.
A tale proposito nel 1965 viene organizzata una “spedizione esplorativa”
negli
Stati Uniti alla quale partecipano alcune eminenze grigie dell’azienda
di Solihull,
con l’intento di individuare un modello che potesse fornire la giusta
ispirazione per
la nascita di quella che sarebbe diventata la futura Range Rover.
Vennero studiate
in quell’occasione alcune tra le più note staion-wagon americane e le
ultime novità
nel settore dei fuoristrada (erano appena uscite la Jeep Wagoneer e la Ford
Bronco), sebbene alla Rover fossero indirizzati più verso una grossa
giardinetta a
due ruote motrici ed erano piuttosto freddini nei confronti di una 4x4.
La scelta definitiva verso questa seconda soluzione scaturì
dall’adozione del
propulsore 3.5 V8 della General Motors, di cui la Rover aveva acquistato
i diritti
di costruzione su licenza. Un motore così potente richiedeva un asse di
trasmissione
molto robusto che, solo se abbinato a una trazione integrale permanente,
avrebbe espresso al meglio le sue potenzialità senza penalizzare le
prestazioni
del veicolo.
Tornati in patria, i responsabili della Rover si misero subito al lavoro
e nel ‘67 era
già pronto il primo modello statico, che continuava ancora a chiamarsi
Road Rover.
L’anno successivo erano pronti i primi due prototopi marcianti che, per
depistare la
concorrenza (e soprattutto i giornalisti), vennero battezzati con il
nome Velar.
Nel settembre del ‘69 altri due prototipi vengono spediti con il massimo
riserbo
in Algeria, per essere sottoposti ad una serie di massacranti test sulle
piste
sahariane in condizioni ambientali esasperate e nell’estate successiva
arriva finalmente
il momento del grande debutto.
Il 17 giugno del 1970 il veicolo siglato come progetto Land Rover 100
inch Station
Wagon viene presentato alla stampa internazionale, con il nome definitivo
di Range Rover, nella campagna della Cornovaglia occidentale.
Dal punto di vista meccanico, oltre al potente propulsore a benzina
(3.500 cc.,
8V) va segnalata l’innovativa introduzione della trazione integrale
permanente
e l’adozione del terzo differenziale centrale; per la prima volta nella
produzione
Land Rover, le tradizionali balestre vengono sostituite con le sospensioni a
molle elicoidali, mentre la mole del veicolo (seppur contenuta rispetto
a quella
delle principali concorrenti americane) e la potenza del motore (che
consentiva
alla Range di raggiungere i 180 Kmh.) richiesero l’adozione dei freni a
disco,
montati inizialmente solo sull’asse anteriore e in seguito su tutte e
quattro le
ruote.
Ma sono soprattutto l’impostazione generale e il grado di rifiniture,
curatissime
fin nei minimi particolari, a creare la differenza. Seppur ispirata alle
voluminose
4x4 a stelle e strisce, la Range segna una svolta radicale nell’immagine del
fuoristrada, fino ad allora abbinata inevitabilmente ad un grado di
rifiniture e
ad un tipo di utilizzo che penalizzavano sensibilmente il comfort.
Per il lancio mondiale della Range Rover venne organizzata una
mega-spedizione
nell’istmo mesoamericano, nella giungla di Panama, con l’ambizioso
progetto di attraversare la Serrania del Darien, un intricato labirinto
di vegetazione
impenetrabile che interrompeva il tragitto della Panamericana impedendo
l’accesso
via terra in Colombia.
Due Range Rover, appositamente allestite e affidate ad una squadra speciale
guidata da un ufficiale dell’Esercito inglese, riuscirono ad
attraversare per la prima
volta l’intero tratto di giungla in 3 mesi grazie alla perfetta
organizzazione
tecnica e al grande spiegamento di mezzi (numerosi i portatori impegnati ad
aprire la pista a colpi di macete e motosega).
Con l’arrivo sul mercato della Range Rover (la cui linea, a parte
l’introduzione
del modello a quattro porte realizzato nel 1981, rimarrà immutata per quasi
venticinque anni) anche gli appassionati dell’off-road, oltre ai
baronetti inglesi,
scoprono che si possono affrontare sterrati e mulattiere viaggiando
comodamente
seduti come su una berlina di lusso, all’interno di un abitacolo
perfettamente
isolato acusticamente con un elevato grado di comfort che aveva
ben poco da invidiare ai fuoristrada di provenienza americana. Ed è
proprio dagli
States che, nella metà degli anni Settanta, avrà inizio l’avventura di
un nuovo
veicolo, la Jeep Cherokee, ancora oggi continuamente rinnovato e apprezzato
in tutto il mondo.
La storia della Cherokee ha inizio nel 1974, con la presentazione di un
modello
a tre porte di grosse dimensioni (lungo 4.6 metri e largo 1.9), analogo
alla collaudata Wagoneer apparsa per la prima volta nel 1962 e
ampiamente rivisitata
nella linea e nelle motorizzazioni nel 1972 (V6 di 4.983 cc. con 195 CV,
V8 di 4.983
cc. con 145 CV e V8 di 5.900 cc. con 185 CV). Anche i motori della
Cherokee non
scherzano in quanto a potenza: il propulsore fornito nella versione base
è un 6
cilindri in linea di 4.235 cc. in grado di sviluppare 112 CV a 3.500
giri, ma a richiesta
sono disponibili anche tre motorizzazioni a 8 cilindri assai più potenti
(4.900 cc. da 177 CV, 5.900 cc. da 198 CV e 6.600 cc. da 238 C). La
trazione è posteriore
(anteriore inseribile) e il cambio a scelta tra manuale (a 3 o a 4 rapporti)
e automatico (a tre rapporti). Tre anni dopo, nel 1977, viene introdotta
la nuova
versione a 5 porte (come nella gamma Wagoneer) e due anni dopo, con la
presentazione
della Jeep Cherokee Chief, si ha la prima metamorfosi di look.
Il nuovo modello ha subito un profondo e accurato restyling, si presenta
meglio
rifinito nei particolari ed equipaggiato con un motore ad 8 cilindri di
5.900
cc. che sviluppa 121 CV a 3.450 giri; i fantasmi scaturiti dalla crisi
energetica causata
dall’embargo arabo dell’autunno del ‘73 non sono tuttavia ancora del tutto
dissolti per cui, per l’utenza più attenta ai consumi di carburante,
viene proposta
anche una versione con un propulsore meno assetato (4.200 cc. a 6 cilindri)
e con una potenza più contenuta (solo 98 CV ad appena 3.200 giri al minuto).
Con l’avvento degli anni Settanta inoltre, la Jeep assume anche un nuovo
assetto
societario in quanto la vecchia Kaiser Jeep Corporation (titolare del
marchio
fin dalla nascita, nel 1940) viene acquisita il 5 febbraio del 1970
dalla A.M.C.
(American Motors Corporation) per 70 milioni di dollari.
Nel 1974 viene presentato il prototipo di un nuovo fuoristrada,
battezzato VCL
(Véhicule de Commandement et Liaison=veicoli da comando e collegamento), che
nelle intenzioni dei costruttori (un consorzio formato da Fiat, Man e
Saviem) doveva
essere destinato alle forze armate di Italia, Germania e Francia.
Estremamente
compatto nelle dimensioni (4.05 mt. di lunghezza per 7 posti), il VCL
era una fuoristrada anfibio equipaggiato con un motore a quattro
cilindri di 1.995 cc. (75 CV
a 4.600 giri al minuto), molto maneggevole ed estremamente versatile
nell’utilizzo
in fuoristrada. Contrariamente alle ambizioni dei paesi della Nato promotori
dell’iniziativa (il piano iniziale prevedeva la realizzazione di 50.000
esemplari, dei
quali 30.000 alla Germania Federale e 10.000 ciascuno all’Italia e alla
Francia), il
progetto relativo al VCL venne abbandonato verso la fine del 1975 a
causa dei costi
elevati e del disinteresse (soprattutto italiano) dei vertici militari.
Sia la Germania che l’Italia raccolsero tuttavia parte dell’eredità
tecnologica
acquisita con questo prototipo che, direttamente o indirettamente,
offrirà svariati
punti per la successiva realizzazione della Volkswagen Iltis (versione
aggiornata
della classica Munga) e della nuova Fiat Campagnola che adotterà (proprio
come la VCL) le sospensioni a barra di torsione.
Il 1974 vede anche il debutto della nuova Fiat Campagnola, destinata a
sostiture
i vecchi modelli degli anni Cinquanta, usciti di produzione l’anno
precedente.
L’esordio ufficioso, quasi in sordina, è affidato alla passerella
primaverile del
Salone di Belgrado, mentre la presentazione ufficiale avviene verso la
metà di
giugno in Italia. Equipaggiata con un motore derivato dalla 132 (un
quattro cilindri
di 1.995 cc. che sviluppa 80 CV), la nuova Campagnola presenta un’ampia
dotazione accessoristica e, a partire dal ‘76, sarà disponibile anche
nella versione
“Lunga” e “Hard Top”, con la carrozzeria integralmente metallica.
Nella primavera del 1974 viene presentata la Daihatsu Taft F10, un
piccolo fuoristrada
equipaggiato con un motore a benzina di 1.000 cc. (58 CV) caratterizzato da
dimensioni molto contenute (lungo 3.32 mt.) abbinate a straordinarie
doti di robustezza. Questo modello, che nell’arco di circa dieci anni
verrà proposto in numerose
versioni, riscuote molto successo anche sul mercato italiano. Tra i vari
allestimenti
vanno segnalati la Taft F20 (1976) con motore 1.600 (66 CV), la Taft
“Gran”che debutta
al Salone di Ginevra del ‘78 sottoposta ad un primo restyling. Con la
Taft F55
viene fornita anche la motorizzazione diesel da 2.5 lt., con dimensioni
adeguate alla
nuova motorizzazione (la lunghezza sale a 4.27 mt.). Due anni più tardi,
sempre
al Salone di Ginevra, debutta la Taft F20 L che, pur essendo firmata nel
design da
uno stilista italiano (Michelotti), non arriverà sul nostro mercato. Nel
1982 la Daihatsu
presenta due nuove versioni, una all’inizio dell’anno (la F20 LK3) e una
nel mese
di novembre, la Taft 2.8 diesel (77 CV); quest’ultimo modello
rappresenta l’ultima
motorizzazione adottata sulla Taft che uscirà di produzione nel 1983. Al
Salone di
Tokyo dello stesso anno la Daihatsu presenta il prototipo Rugger che
verrà lanciato
l’anno successivo in tutto il mondo (Italia compresa) con il nome di Rocky.
Sempre negli anni Settanta un’altra casa giapponese, la Suzuki, sviluppa un
nuovo veicolo fuoristrada denominato Jimni 410 Q, disponibile sia con
motore a
3 cilindri di 540 cc. con 28 CV, che con un 4 cilindri di 970 cc. in
grado di erogare
45 CV, di dimensioni particolarmente contenute, ideato soprattutto per i
paesi
del Terzo Mondo.
Questo veicolo (al quale abbiamo già accennato), antesignano della
successiva serie SJ (oltre un milione gli esemplari venduti in tutto il
mondo), e anche dell’attuale
Vitara, ebbe invece un grosso successo nei paesi occidentali, ed in
particolar
modo in quelli europei, proprio grazie ai suoi ridotti ingombri che lo
rendevano
particolarmente adatto ad un utilizzo off-road su piste e mulattiere
particolarmente
impervie e con spazi limitati.
Negli stessi anni, grazie soprattutto al prezzo contenuto e all’economia
d’utilizzo,
si affermano su mercati comunitari anche alcuni veicoli provenienti
dall’Europa
orientale i cui portabandiera sono rappresentati dalla spartana Uaz
(1973) e dalla piccola Lada Niva che, ancora oggi, difendono
discretamente le loro
quote di mercato. La Lada Niva, prodotta negli stabilimenti di
Togliattigrad,
esordisce nel 1976 e arriva in Italia nel 1981 nella versione a benzina
(con un motore
di 1.568 cc. di derivazione Fiat) e nel 1984 nella versione a gasolio
(con un
motore Peugeot di 1.905 cc.).
La metà degli anni Settanta registra il ritorno alla grande della
Volkswagen nel
settore del fuoristrada che, dopo i fasti del passato (Kubelwagen e
Schwimmwagen),
inaugura il nuovo corso dei veicoli a trazione integrale con l’Iltis.
Sull’onda dei grossi successi commerciali conseguiti con alcune vetture
di nuova
produzione come la Golf e la Passat (di cui la Iltis adotta il motore),
espressione
e sintesi di alcune significative esperienze maturate da gloriosi marchi
quali
NSU, Audi e DKW (acquisiti dalla Volkswagen nel corso degli anni
Sessanta), l’Azienda
di Wolfsburg si propone proprio con la Iltis di confermare anche nel settore
dell’off-road il trend positivo registrato con le vetture stradali.
Progettata soprattutto per un utilizzo militare, la Volkswagen Iltis è
equipaggiata
con un motore di 1.714 cc. (75 CV a 5.500 giri a minuto), trazione
posteriore
(anteriore inseribile) e cambio a 5 marce. Nonostante l’eccezionale
robustezza del
telaio e della meccanica e le sorprendenti prestazioni sia su strada che
in fuoristrada
(la pendenza massima superabile del 77%), la Iltis aveva dei costi di
realizzazione
proibitivi che si ripercuotevano negativamente sul prezzo di listino
tagliandola
fuori dal mercato per l’utenza civile. Complessivamente vennero prodotti
circa 10.000 esemplari, la maggior parte dei quali (8.800) assorbiti
dall’Esercito
tedesco, e solo un migliaio furuno venduti ai privati. Sulla scia di
questi risultati
qualche anno dopo la Volkswagen cedette licenza e diritti di costruzione
ad un’azienda
canadese (Bombardier) specializzata nella produzione di veicoli militari.
Nel frattempo una grande azienda europea, la Daimler-Benz, stava seriamente
prendendo in considerazione l’idea di tornare in grande stile nel mondo dei
fuoristrada dopo l’esordio degli anni Venti con la G1. Tutto nacque dal
naufragio
di un ambizioso progetto, denominato “Programma Jeep-Europe”, che si
proponeva di dotare tutte le forze armate del Vecchio Continente (ed in
particolar
modo le truppe della Nato) con una 4x4 che, oltre ad essere particolarmente
versatile in qualsiasi condizione d’utilizzo, anfibio ed
aviotrasportabile, fosse anche
sviluppato da un progetto comune affidato a tutti i paesi della Nato.
Il fallimento dell’iniziativa indusse la casa di Stoccarda a prendere la
decisione
di avventurarsi nella realizzazione di un nuovo fuoristrada e il primo
passo, in linea con il pragmatismo dei tecnici Mercedes, fu quello di
passare al setaccio l’intera
produzione allora disponibile valutando al tempo stesso le esigenze e le
richieste
della clientela sia civile che militare. Venne individuato nella Land Rover
88 il veicolo più adatto a superare la maggior parte delle situazioni di
guida offroad
e, mediante un’attenta analisi, vennero sottolineati quei parametri che, a
detta della Mercedes, potevano essere ulteriormente perfezionati.
Il nuovo veicolo, riprendendo la denominazione dell’antenata degli anni
Quaranta,
venne battezzato semplicemente Gelandewagen (in tedesco significa
“vettura fuoristrada”) e in base alle più severe specifiche militari
richieste dalle
forze armate europee doveva soddisfare alcune esigenze molto
particolari; tra
Mercedes G
Papamobile queste era prevista una garanzia di almeno 25 anni contro la
corrosione (sia per
la carrozzeria che per il telaio), mentre per una valutazione
attendibile della resistenza
meccanica il veicolo avrebbe dovuto superare un test di 15.000 Km. percorsi
a pieno carico in condizioni di guida off-road particolarmente impegnative.
Nel bienno 1975-76 vennero allestiti i primi prototipi della Mercedes 230 G,
equipaggiati con un motore a benzina a quatro cilindri (2.307 cc., 102
CV) ed iniziarono
i severi collaudi indispensabili per superare le rigide normative di
accettazione
militare. Per quanto riguarda invece la strategia commerciale, la Mercedes
preferì avviare la produzione della serie Gelandewagen in un nuovo
stabilimento,
appositamente costruito a Graz in Austria; questa struttura, nelle
intenzioni
della Casa di Stoccarda, doveva essere in grado di assicurare una produzione
che, seppur quantitativamente contenuta, fosse in grado di garantire un
elevato
standard qualitativo (parametro che ancora oggi, grazie anche alle numerose
operazioni di assemblaggio effettuate quasi tutte a mano, costituisce uno
dei punti di forza dell’intera gamma Mercedes).
Tra il 1977 e il 1978 lo stabilimento Steyr-Daimler-Puch di Graz venne
ulteriormente
ampliato e l’anno successivo la Mercedes G era pronta per il debutto.
Alla 230 si affiancò ben presto un’altra versione a benzina con
alimentazione a
iniezione, la 280 GE (2.746 cc., 156 CV), e due a gasolio; queste
ultime, denominate
240 e 300 GD, erano inoltre disponibili sia a 4 (2.399 cc., 72 CV) che a
6 cilindri
(2.998 cc., 88 CV).
Il sistema di trazione integrale (inseribile sull’asse anteriore)
prevedeva un riduttore
a due rapporti sincronizzati, con cambio a 4 velocità abbinato alla
possibilità
di bloccare entrambi i differenziali.
Agli inizi del 1979 torna alla ribalta la Renault 4L Sinpar 4x4 che,
sfidando tutti
i pronostici, conquista il secondo posto assoluto alla Parigi-Dakar con
una vettura
affidata ai fratelli Marreau, ottenendo un risultato all’epoca
clamoroso. Oltre
alle tradizionali modifiche adottate dalla Sinpar sulla trasformazione
4x4 della
Renault 4, questo modello era equipaggiato con un motore della Renault 5 TS
(1.300 cc.) in grado di sviluppare un’elevata coppia; la definitiva
consacrazione
della Renault nella mitica maratona africana avverrà tre anni dopo
(1982) quando
i fratelli Marreau conquistano la vittoria assoluta alla Pargi-Dakar a
bordo di
una R 20 Turbo 4x4 che sbaraglia tutta la concorrenza, comprese le
vetture allora
più quotate e preparate come la Mercedes G e la Range Rover.
Nell’ottobre del 1979 ha inizio l’avventura della Subaru nel settore dei
veicoli
a trazione integrale, con la presentazione della Leone 4WD, una 4x4
equipaggiata
con motore a quattro cilindri (1.800 cc., 75 CV, 160 Kmh.) disponbile nelle
versioni berlina, coupè, pick-up e station-wagon; quest’ultima dispone
anche di
riduttore e consente di superare in prima ridotta pendenze massime
prossime al
68%. Da allora la Subaru ha invaso i mercati di tutto il mondo con la
sua produzione
di vetture a quattro ruote motrici fino ad arrivare, ai nostri giorni,
con una
gamma di 5 modelli (Justy, Impreza, Legacy, Outback e Forester)
disponibile in un
ampio assortimento di versioni. Nel novembre del 1979 la Fiat lancia sul
mercato quella che sarà l’ultima versione
del suo fuoristrada, con la presentazione della Nuova Campagnola,
equipaggiata
con motori diesel Sofim di 2.000 (60 CV) e 2.500 cc. (72 CV). Entrambi i
modelli sono disponibili nelle versioni hard-top (lunga e corta) e
torpedo (lunga
e corta) e possono superare pendenze di oltre il 100%, mentre la
velocità massima
non supera i 120 Km. Seppur presente sul mercato in una serie di
allestimenti
particolari, realizzati dalle firme più prestigiose del design, e spesso
alla ribalta
in manifestazioni agonistiche di risonanza internazionale, o impegnata
in alcuni
raid africani, la Campagnola non riesce tuttavia a conquistare il grosso
pubblico
degli appassionati di off-road, soprattutto per la continua e variegata
offerta
di proposte che arrivano a getto continuo sul mercato dalle case europee
e, in particolar modo, da quelle giapponesi che intuirono con
straordinario tempismo
le mutate esigenze dell’utenza off-road, sempre più attenta (oltre che alle
prestazioni) alla linea e al comfort. Neanche nella successiva fase
degli anni del
boom l’Azienda torinese seppe fiutare (analogamente a quanto avvenne nell’84
per il settore delle monovolume, all’epoca del debutto dell’Espace della
Renault)
l’enorme potenziale del mercato dei fuoristrada e la Campagnola, quasi
abbandonata
a se stessa, si ritrovò a misurarsi con modelli tecnologicamente sempre
più avanzati e raffinati nell’estetica. Iniziò quindi una lenta
eutanasia di uno dei
modelli più importanti e prestigiosi della produzione italiana degli
ultimi decenni
fino a quando entrambi i modelli della Nuova Campagnola Diesel usciranno
definitivamente di produzione nel 1987. Sul finire degli anni Settanta
un’altra azienda italiana, apprezzata più per la
produzione di bolidi granturismo da 300 all’ora che non per la sua
vocazione fuoristradistica,
decide di tentare la sfida nel mondo dell’off-road avviando un progetto
che, seppur destinato ad esaurirsi nell’arco di pochi anni, lasciò
un’impronta
indelebile nel settore dei veicoli a trazione integrale.
Stiamo parlando della Lamborghini che, nel 1977, realizzò il prototipo di un
fuoristrada il cui utilizzo (oltre che in ambito militare) avrebbe
dovuto soddisfare
le esigenze dei ricchi sceicchi sauditi. Il veicolo, battezzato Cheetah,
venne presentato
al Salone di Ginevra ed era equipaggiato inizialmente con un motore
posteriore
V8 Chrysler le cui caratteristiche, sia in affidabilità che in robustezza,
sembravano garantire un ampio margine di funzionalità anche nelle più
esasperate
condizioni operative nelle quali si muovevano gli eserciti che gravitavano
nel golfo Persico. Questo motore venne però presto abbandonato e la
Lamborghini produsse
un secondo prototipo equipaggiato con un propulsore AMC, anch’esso destinato
ad essere sostituito.
A causa di una serie di svariati problemi infatti, tra cui numerose
beghe legali,
derivanti soprattutto da alcune “somiglianze” troppo marcate tra la Cheetah
e un veicolo militare americano, i primi prototipi non ebbero alcun seguito.
La Lamborghini si orientò quindi nello sviluppo di un veicolo interamente
“fatto in casa”, per cui nell’82 debuttò un nuovo prototipo 4x4 (LMA)
che montava
per la prima volta sotto il cofano un poderoso V 12.
La versione definitiva della Lamborghini LM 002 debutta nel 1985 suscitando
un enorme scalpore anche al di là dei confini nazionali. I suoi numeri
infatti erano
tutti da record: dal frazionamento del motore (12 cilindri) alla cilindrata
(5.167 cc.), dalla mostruosa potenza erogata (455 CV) al prezzo
astronomico (240
milioni) al quale viene posta in vendita.
La prima versione, commercializzata nel 1986, era equipaggiata con motore
aspirato (l’iniezione elettronica era disponibile solo per il mercato
americano),
ma a partire dal 1989 viene introdotta anche sul mercato italiano la
versione con
iniezione elettronica che (mantenendo lo stesso 12 cilindri della
Countach) ha
consentito un lieve incremento di potenza (salita da 450 a 455 CV).
Equipaggiato di trazione posteriore (e anteriore inseribile manualmente), la
Lamborghini LM-002 disponeva inoltre di cambio a 5 rapporti e riduttore,
abbinati
ai tre differenziali tutti autobloccanti (al 25% quello anteriore, al
75% il centrale
e il posteriore); in condizioni particolarmente esasperate quello
centrale poteva
anche essere bloccato meccanicamente.
Eccezionale nelle prestazioni su strada, la LM-002 esprime a una buona
motricità
(ingombri permettendo) anche nell’utilizzo off-road, grazie ai valori degli
angoli di attacco (50°) e di uscita (45°) e a quelli relativi alla
pendenza massima
superabile (120°) e all’inclinazione laterale (45°).
Ma la LM-002 a causa di una serie di problemi alla carrozzeria e,
probabilmente,
penalizzato dal prezzo, non riscosse quel successo auspicato dai tecnici
della Lamborghini e uscì definitivamente di produzione nel 1991.
Con l’arrivo degli anni Ottanta le vendite di fuoristrada subiscono un
sensibile
incremento sui pricipali mercati mondiali e anche in Italia le
immatricolazioni
(nell’85 supereranno la soglia dei 45.000 veicoli) raggiungono cifre da
primato,
grazie all’esplosione di quella che può essere considerata una vera e
propria moda
che, non di rado, ha sconfinato persino nell’ambito del fenomeno di costume.
Anche l’enorme vitalità dimostrata dalle maggiori aziende costruttrici
ha contribuito
non poco a tale affermazione, grazie ad un continuo e assortito afflusso di
nuovi modelli provenienti soprattutto da ogni angolo d’Europa.
Nel nostro continente infatti l’offerta è particolarmente ricca proprio
agli inizi
degli anni Ottanta quando, a fianco dei modelli più famosi, appaiono diversi
fuoristrada le cui alterne fortune hanno determinato in tempi più o meno
brevi
la sparizione dell’azienda costruttrice o la loro importazione in
Italia. Tra questi ricordiamo un’interessante versione della Citroen
Mehari 4x4 (602 cc., 29 CV) e
della Peugeot 504 4x4 (motore diesel di 2.304 cc., 68 CV), la Cournil
2300 (motore
Peugeot diesel di 2.304 cc., 67.4 CV), la Portaro 260 (un fuoristrada
costruito
in Portogallo su licenza della romena Aro, equipaggiato con motore Daihatsu
diesel di 2.530 cc., 72 CV), lo Scoiattolo Super (motore Fiat a benzina
di 652 cc.,
24 CV) e la Zaz 969 M (motore a benzina di 1.196 cc.); tra le
elaborazioni costose,
caratterizzate da abitacoli lussuosi, meccanica potenziata e accessori a
profusione,
vanno ricordate la Moretti Sporting (allestita su meccanica della Fiat
Campagnola),
la Monteverdi Safari (motore V8 di 5.653 cc., 165 CV), la Wood &
Pickett Sheer Rover (restyling della Range) e la Sbarro 4x4, un
fuoristrada derivato
dalla Mercedes G disponibile sia nella versione a due assi (Windhound) che
in quella a tre assi (Windhawk, 6x6. 4.500 cc.).
In America continua intanto la costante evoluzione della Cherokee e, nel
1981, l’American Motors Corporation presenta la nuova Jeep Cherokee
Brougham,
una versione lusso particolarmente arricchita nelle finiture; le potenze
vengono nuovamente incrementate e il V6 (4.200 cc.) sviluppa ora 112 CV,
mentre
per il V8 (5.900 cc.) la potenza erogata sale a 157 CV. In questo
periodo tutti
i veicoli Jeep sono commercializzati in Italia dalla Renault, in base
all’accordo di
cooperazione firmato il 5 febbraio del 1980 tra la Casa francese e
l’AMC: la Renault
diviene comproprietaria dell’American Motors Corporation con il 46.4 del
pacchetto azionario.
La Nissan nel frattempo, stimolata dal successo nelle vendite degli
ultimi anni
(dalle 10.000 Patrol del ‘74 si arriva alle 20.000 del ‘80), presenta
proprio nel
1980 la nuova Patrol Safari, introducendo per l’occasione due nuove
motorizzazioni:
oltre alla nuova versione V6 (4 lt.), le nuove Nissan sono ora equipaggiate
con un 6 cilindri a benzina (2.8 lt., 120 CV) e un 6 cilindri diesel
aspirato (3.3 lt.,
95 CV), abbinato successivamente al turbocompressore (110 CV).
Ma la novità di maggiore rilievo del nuovo decennio arriva sul mercato
mondiale
dall’Estremo Oriente quando la Mitsubishi, nell’autunno del 1981, presenta
al Salone di Tokyo la prima versione della Pajero. Dopo una lunga
produzione,
durata circa trent’anni, per il mercato giapponese di alcuni modelli di jeep
costruiti su licenza dell’American Motors Corporation, la Casa nipponica
decide
di scendere in campo con un proprio veicolo ispirandosi per il nome a
quello di
uno dei felini più diffusi della Patagonia.
Ispirata alla nuova filosofia dell’utilizzo “comodoso”, inaugurata dieci
anni
prima dalla Range Rover, la Mitsubishi Pajero riscuote subito un vasto e
crescente
successo sia in Europa che in America, grazie alla sua linea
accattivante e alle
sue caratteristiche tecniche.
Equipaggiato con un motore a quattro cilindri (1.997 cc., 110 CV per la
versione
a benzina, 2.346 cc., 75 CV per quella diesel), il nuovo fuoristrada
giapponese
debutta inizialmente nella sola versione torpedo hard-top, a 2 porte e 5
posti.
Il Pajero arriva in Italia dopo circa un anno, in compagnia di altri
modelli nipponici
tra cui segnaliamo le Nissan Patrol Safari con motore a benzina (la
versio ne diesel debutterà nell’83) e Patrol Station Wagon, la Daihatsu
Taft, la Isuzu Rodeo
Bighorn e la Toyota Land Cruiser Station Wagon; quest’ultima (disponibile
anche nella versione diesel con motore a 4 cilindri da 3.431 cc. con 98
CV) riscuote
molto successo in Africa e in Nord America nella versione a benzina,
equipaggiata
con un 6 cilindri in linea (4.230 cc.,140 CV) grazie alle sue
prestazioni e all’ampia
disponibilità di spazio assicurata dalle sue dimensioni ( lunga 4.75
mt., alta
1.79 e larga 1.80) che, nel fuoristrada impegnativo, evidenziavano i
limiti imposti
dall’elevato sbalzo posteriore.
Sempre sul mercato asiatico appare un’altra vettura che, seppur senza
mai approdare
sul mercato italiano, suscita qualche interesse tra gli appassionati dei 4x4
spartani ed essenziali fino all’estremo. E’ la cinese Peking BJ 212, un
fuoristrada
espressamente costruito per l’impiego militare, rivelatosi abbastanza
lento e rumoroso
anche nelle versioni civili (prive di qualsiasi grado di comfort) approdate
in alcuni paesi satelliti della Cina; due le versioni disponibili (a 2 e
4 porte) con
carrozzeria torpedo, entrambe equipaggiate con un motore a quattro
cilindri a benzina (2.445 cc., 75 CV).
Per le forze armate dell’Occidente, più esigenti in materia di comfort e
prestazioni
maggiori, arriva invece la Peugeot P 4, nata dalla collaborazione tra
Peugeot
e Mercedes per fornire alle Forze Armate Francesi un fuoristrada militare di
elevate prestazioni; questo veicolo è in pratica un Mercedes G
equippagiato con
motore Peugeot (2.000 a benzina o 2.300 diesel).
Anche l’Esercito Italiano, in vista dell’uscita di scena della Fiat
Campagnola, è
alla ricerca di un nuovo fuoristrada costruito (o perlomeno assemblato)
nel nostro
Paese, sebbene i ripetuti tentativi attuati in diverse occasioni non
siano mai
approdati a nulla per l’assoluta latitanza di nuovi fuoristrada
nostrani. Uno dei
primi tentativi di questa ricerca risale all’estate del 1982 quando
apparve l’Astra
L1, un fuoristrada compatto (era lungo appena 2.3 mt.) ed estremamente
leggero
(ca. 600 Kg.) equipaggiato con un motore Volkswagen Maggiolino di 1.600
cc. (47 CV).
Dotato di trasmissione idrostatica, l’Astra L1 disponeva di una pompa
collegata
direttamente al motore che, azionando quattro turbine idrauliche (ciascuna
collegata ad una ruota) realizzava una trazione integrale permanente. La
carrozzeria
era costituita da due scafi con intelaiatura in alluminio e pannelli di
resina
che potevano inclinarsi separatamente su ciascun lato del veicolo
assicurando la massima motricità delle ruote.
Il ridotto peso del veicolo (che lo rendevano comunque facilmente
aviotrasportabile
e paracadutabile) e la limitata scorta di cavalli disponibili garantivano
tuttavia un discreto margine di portata (600 Kg.) e di capacità di
traino (1.000
Kg.). Nonostante l’estrema versatilità in fuoristrada, assicurata dalla
totale assenza
di sbalzi anteriore e po-steriore, da una notevole altezza minima da terra
(variabile da 33 a 38 cm.), una capacità di guado di 50 cm. e una
pendenza massima
superabile del 100%, questo veicolo rimase confinato allo stadio di
prototipo.
Sul mercato italiano arrivano inoltre due modelli che, per alcuni anni,
riscuoteranno
un certo successo nella fascia più economica, come le rumene ARO 10.1
(equipaggiata agli inizi degli anni ‘80 con motore Renault a benzina a 4
cilindri
di 1.289 cc., 54 CV, e con un diesel Indenor di 1.905 cc., 65 CV) e ARO
240 (costruita
dall’aprile ‘72 (motore Aro a benzina di 2.495 cc. con 80 CV, diesel Peugeot
di 2.112 cc. con 64 CV e turbodiesel Peugeot di 2.304 cc. con 80 CV) e
la portoghese
UMM 494 2.3, costruita da un’azienda di Lisbona (la Uniao Metalo Mecanica)
ed equipaggiata con motore diesel Peugeot (4 cilindri, 2.304 cc., 66.5 CV).
Sul mercato americano esce intanto il Bronco II con il quale la Ford
cerca di rinnovare
il lungo successo riscosso da questo puledro purosangue (il nome deriva
da una celebre razza di cavalli americani) che, nelle ambizioni della
Casa di Deanborn,
lancia la sfida ai 4x4 europei e giapponesi.
Il Bronco II, pur mantenendo l’impostazione generale e le
caratteristiche generali
del modello precedente, presenta dimensioni più contenute e una
motorizzazione
più vicina ai tradizionali standard europei; il propulsore è infatti un
6V di 2.800 cc. abbinato a un cambio a quattro marce.
Tra le curiosità apparse in questo periodo nel panorama europeo va segnalata
una singolare realizzazione di un’azienda tedesca (Rheimaner Maschinen und
Armaturenbau GmbH) che, nel 1983, debutta al Salone di Ginevra con un
fuoristrada
anfibio denominato Amphy Ranger.
Questo veicolo, che alla versatilità di un fuoristrada abbinava anche la
navigabilità
in acqua, era caratterizzato anche da una linea particolare che
rifletteva le
sue ambizioni nautiche, con una prua accuratamente carenata e rialzata,
una notevole altezza da terra e una carrozzeria pick-up che di profilo
lo faceva assomigliare
vagamente a un gozzo.
Equipaggiato con un motore a quattro cilindri di derivazione Ford di
1.954 cc.,
in grado di sviluppare 74 CV a 5.200 giri, poteva montare a richiesta
anche un V6
di 2.772 cc. (99 CV) e disponeva di trazione posteriore (anteriore
inseribile). In acqua
la trazione era assicurata da un’elica ribaltabile elettricamente che
consentiva
di raggiungere una velocità massima prossima ai 13-18 Kmh. con un’autonomia
variabile tra le 2 e le 3 ore.
Lunga complessivamente 4.8 metri, larga 1.83 e alta 1.95, la Amphy Ranger è
stata senz’altro la 4x4 anfibia di medie dimensioni più famosa della
produzione
degli ultimi anni, sebbene il suo particolare tipo di utilizzo ne abbia
condizionato
sensibilmente il successo su vasta scala.
Per quanto riguarda le prestazioni stradali, la velocità massima era di 120
Kmh. nella versione con motore a 4 cilindri e di 140 in quella a 6
cilindri, mentre
nell’utilizzo off-road (pur evidenziando ottimi valori negli angoli di
attacco di
uscita grazie alla sua linea idrodinamica) non consentiva prestazioni di
particolare
rilievo fuoristradistico.
Decisamente più performante, e mastodotico, è invece l’anfibio Iveco 4x4
6640G lanciato nell’estate del 1983 per sostituire la precedente
versione (Fiat 4x4
6640A) in servizio presso i maggiori enti di protezione civile da una
decina d’anni.
Rialzato di circa 20 centimetri e potenziato nella motorizzazione (diesel di
3.499 cc., 195 CV) rispetto al vecchio modello, l’Iveco 4x4 6640G ha una
massa superiore
alle otto tonnellate e raggiunge su strada una velocità massima di 100
Kmh. (11 Kmh in acqua). Dotato di cambio automatico a 3 marce e
differenziali anteriore e posteriore bloccabili,
può superare una pendenza massima del 60% e marciare lungo inclinazioni
laterali fino al 30%, assicurando inoltre una portata utile di due
tonnellate e un trasporto
per 14 passeggeri (più 3 persone in cabina). La propulsione in acqua,
diversamente
dal sistema ad elica adottato sul modello precedente, è assicurata da un
idrogetto
di nuova concezione che grazie ad un sistema orientabile sui 360 gradi
facilita
sensibilmente anche le manovre di attracco offrendo una spinta trasversale.
Nella fase di collaudo (fra l’aprile dell’82 e il marzo dell’83) l’Iveco
4x4 6640G
è stato protagonista di una storica spedizione in Amazzonia guidata dal
comandante
Jacques-Yves Cousteau avente lo scopo di esplorare l’intero bacino del Rio
delle Amazzoni; oltre al veicolo anfibio dell’Iveco, la spedizione ha
utilizzato per
i trasporti terrestri anche un camion fuoristrada Iveco 6x6.
Oltre al fenomeno dei fuoristrada anfibi, un’altra tipologia che si
affermò per
un breve periodo verso la metà degli anni Ottanta è rappresentata dai
4x4 blindati,
destinati soprattutto agli istituti di sorveglienza o al trasporto
valori. In Italia
i fuoristrada più famosi lanciati in questo settore nel 1983 sono stati
il Guardian
Mark della ASA (Advanced Security Agency) di Milano e l’RM 82 prodotto
dalla carrozzerria Repetti e Montiglio di Casale Monferrato in provincia
di Alessandria;
entrambi i modelli, disponibili con diversi allestimenti di blindatura e
armamento,
derivavano dalla Fiat Campagnola a benzina nella versione Hard Top.
Nella storia del fuoristrada va ricordato inoltre l’apparizione sul
mercato di
una piccola vettura a quattro ruote motrici che, seppur destinata
soprattutto ad
un uso prevalentemente stradale, evidenzierà una discreta versatilità
anche nell’utilizzo
off-road. Si tratta della Fiat Panda 4x4, che fa la sua prima apparizione
alla fine di giugno del 1983 come un’ulteriore versione del collaudato
modello a
due ruote motrici lanciato dalla Casa torinese tre anni prima. Concepita
come un fuoristrada leggero, la Panda 4x4 viene prodotta in
collaborazione con l’austriaca
Steyer (cui è affidata la trazione integrale) ed equipaggiata con un
motore a
benzina a quattro cilindri di 965 cc. (48 CV). Per ottimizzare le
prestazioni offroad
(in assenza di riduttore) e favorire il disimpegno nei passaggi più
difficili è
stato adottato un rapporto della prima molto corto, mentre il telaio è stato
rinforzato rispetto alla versione normale. Sempre nell’ambito delle
piccole 4x4,
anche se si tratta in questo caso di un fuoristrada vero e proprio,
nell’estate del
1983 viene presentata in Giappone la nuova versione della Toyota
Blizzard (lanciata
nel 1980); questo veicolo, destinato soprattutto al mercato nazionale, è in
pratica una riedizione della nuova Rocky della Daihatsu e rappresenta il
modello
che va a sostituire la Taft F 10; equipaggiata con motore diesel di
2.446 cc. (lo
stesso della Hi-Lux), sviluppa 83 CV a 4.000 giri al minuto.
Nel 1984 la Chrysler presenta la Nuova Jeep Cherokee, a 3 e 5 porte
(nota negli
USA come “model year ‘84), nel nuovo look che, seppur con diversi restyling,
sopravvive ancora oggi. Decisamente più compatta dei precedenti modelli
( lunga
solo 4.20 metri, larga 1.76 e alta 1.63) la Nuova Jeep Cherokee si
rivela contenuta
anche nella cilindrata grazie al suo propulsore di 2.500 cc. a 4
cilindri (106 CV
a 4.800 giri). Nello stesso anno si sveglia anche il mercato italiano
con l’arrivo sulla
passerella del Salone di Torino della Magnum Vip 2.5, realizzata a tempo
di record
ad appena un anno dall’allestimento del primo prototipo. Realizzata da
un’azienda del cuneese (allora Rayton-Fissore, oggi Magnum Industriale)
leader
nel settore degli allestimenti speciali per carrozzeria, la Magnum
(motore Sofim
TD di 2.499 cc. in grado di sviluppare 90 CV) rappresenta ancora oggi
(stesso motore,
ma con 120 CV, 150 Kmh.) l’unico porta-bandiera della produzione nazionale
nel settore dell’off-road. Nonostante le sue dimensioni ( lunga 4.57
metri, larga
2.01 e alta 1.78) presenta delle prestazioni fuoristradistiche di tutto
rispetto e la
sua linea, seppur immutata dall’epoca del suo esordio, rimane ancora
estremamente
piacevole e particolarmente valida dal punto di vista aerodinamico.
Nel panorama internazionale dell’off-road il 1984 segna un’altra tappa
fondamentale
nella storia del fuoristrada poiché da alcune indiscrezioni salta già
fuori un nome che sette anni dopo, in occasione della Guerra del Golfo,
diverrà
per un breve periodo il veicolo a trazione integrale più famoso del
mondo. Avrete
già capito che stiamo parlando dell’Hummer, il mastodontico fuoristrada
scelto
dall’U.S. Armed Forced per sostituire la Jeep come mezzo tattico nella
categoria
H.M.M.W.V. (High Mobility Multi-purpose Wheleer Vehicle=veicolo a ruote
multiruolo ad alta mobilità).
Equipaggiato con un propulsore a 8 cilindri di oltre 6 litri, l’Hummer
presenta
una linea molto squadrata e possente che, abbinata alle sue dimensioni (
lunga
quasi cinque metri e larga due metri e venti), le conferisce un aspetto
veramente
imponente e mastodontico. Dotato di trazione integrale permanente e cambio
automatico questo veicolo, nonostante gli ingombri, si rivelerà estremamente
versatile nell’utilizzo off-road grazie alla notevole altezza minima da
terra (41
cm.) e alle elevate pendenze superabili (massima 60%, laterale 40%).
Verso la metà degli anni Ottanta è da segnalare inoltre la
commercializzazione
di 4x4 Nissan con il marchio Datsun e l’entrata in scena della spagnola
Ebro,
anch’essa legata alla Casa giapponese. Per alcuni anni la Ebro costruirà
su licenza
Nissan, negli stabilimenti di Barcellona, la versione europea della
Patrol equipaggiata
inizialmente con un motore a quattro cilindri (2.8 lt., 76 CV) prodotto
in Spagna ma di progettazione Perkins. Successivamente venne adottato anche
con il tradizionale 6 cilindri 3.3 litri della Nissan quando, a partire
dal 1988, mutò
la propria ragione sociale in Nissan Motor Iberica acquisendo il diritto
di commercializzare
i propri veicoli su tutti i mercati europei con il marchio Nissan.
Nella seconda metà degli anni Ottanta il fuoristrada vive, soprattutto
in Italia,
uno dei momenti più entusiasmanti e gloriosi della sua storia. Sono gli anni
delle immatricolazioni d’oro e, oltre ai concessionari e ai rivenditori
specializzati,
si afferma sul mercato anche quella singolare categoria di operatori,
nota come
“importatori paralleli”, presso i quali a volte possibile acquistare
(spesso a
prezzi inferiori) un fuoristrada giapponese o americano prima ancora del
loro arrivo
in Italia attraverso i canali tradizionali.
Nonostante l’immediato successo iniziale (bilanciato dalle polemiche
sollevate
dalla tradizionale rete di vendita), svariati problemi e una scarsa
attenzione
all’utenza nell’after-market e nell’assistenza, hanno in seguito
ridimensionato in
maniera considerevole il fenomeno.
Ma questi sono anche gli anni dei saloni specializzati e delle
esposizioni riservate
esclusivamente ai fuoristrada e alle auto a quattro ruote motrici. In
Italia la
manifestazione più importante del settore
fu senza dubbio l’Expofuoristrada di
Torino che, nella prestigiosa sede di Torino
Esposizioni ha presentato dall’83 al ‘91
le novità più interessanti della produzione
mondiale.
Una delle edizioni di maggiore successo
dell’Expofuoristrada fu proprio l’edizione
del 1985, che vide la partecipazione
di 140 espositori in rappresentanza di 12
nazioni, con oltre 100.000 visitatori provenienti
da ogni parte della penisola.
Proprio nel corso di questa edizione la
Rover presentò la nuova Land 90 con motore
V8 (3.528 cc., 115 CV), mentre dal
Giappone arrivò la nuovissima Isuzu Trooper
(I Serie) che aveva debuttato l’anno
precedente al Salone di Tokyo.
La Isuzu Trooper TD monta un motore
a 4 cilindri (2.238 cc., 75 CV), ha la trazione
anteriore inseribile e la carrozzeria station-
wagon a 3 porte.
Suzuki Vitara
Daihatsu Feroza SsangYong Korando
Nello stesso anno arriva inoltre in Italia la nuova Toyota Land Cruiser
BJ (II Serie),
equipaggiata con un 4 cilindri a gasolio di 3.431 cc. in grado di
erogare 124
CV a 3.400 giri al minuto; con la presentazione di questo modello (che
subirà un
ulteriore restyling nell’89) va definitivamente in pensione la mitica BJ
(I Serie) apparsa
nei primi anni ‘50.
L’anno successivo viene presentata negli Stati Uniti la Jeep Wrangler,
destinata
a sostituire le ormai obsolete CJ 7 le cui caratteristiche tecniche,
seppur con alcune
migliorie, erano ancora ispirate ai modelli dei primi anni Cinquanta.
Neanche
la Wrangler (4 cilindri a benzina di 2.464 cc. in grado di erogare 105
CV a 5.600
giri al minuto) si presenta in realtà come un veicolo rivoluzionario, ma
gli sforzi
evidenziati dal suo look moderno e aggressivo (pur riallacciandosi ai
modelli che
l’hanno preceduta) la rendono estremamente gradevole e adatta al
pubblico più
giovane. Al suo arrivo in Italia, nell’ottobre dell’89, riscuote un
certo successo grazie
anche alla rete vendita della Renault Italia che, in quegli anni, curava
l’importazione
della Jeep sul territorio nazionale.
Le vecchie Jeep continuano comunque a difendersi ancora bene in alcune
parti del mondo dove sono numerose le aziende che utilizzano le
carrozzerie delle
gloriose CJ3 e CJ4 per assemblare dei fuoristrada la cui produzione, in
alcuni casi,
riesce anche a varcare la soglia dei confini nazionali. Uno degli esempi
più significativi
è rappresentato dall’indiana Mahindra che, nel 1986, presenta la CJ
340 D, un fuoristrada disponibile con propulsori a gasolio Perkins o Peugeot
(2.112 cc., 75 CV); quest’ultima versione viene importata in Italia per
alcuni anni
dalla Four Drive di Torino che realizza anche un prototipo con motore a
benzina
Ford (1.993 cc., 130 CV), derivato direttamente dalla Scorpio.
Nel 1987 debutta al Salone di Tokyo la nuova Nissan GR (Grand Raid), un
fuoristrada
di grosse dimensioni (lungo 4.2 metri, largo 1.93 e alto 1.81) equipaggiato
con tre diverse motorizzazioni: un 6 cilindri diesel aspirato (4.2 lt.,
125 CV),
un 6 cilindri a benzina (4.2 lt., 145 CV) e un 6 cilindri diesel
turbocompresso (2.8
lt., 116 CV) che diventerà la versione di maggiore successo sulle Nissan
Patrol vendute
all’interno dei mercati comunitari.
Appena un anno dopo, nel corso dell’estate 1988, la Suzuki presenta
l’attesissima
Vitara con l’impegnativo compito di bissare sul mercato le fortunate imprese
della richiestissima Samurai. La Vitara centrò in pieno l’obiettivo
confermando
il primato della Suzuki nel settore dei fuoristrada leggeri. Fin dalla sua
immediata commercializzazione, la Suzuki Vitara riscuote un ampio
successo di
pubblico attestandosi per diverse stagioni al vertice delle vendite di
fuoristrada
in Italia e, nel corso
degli anni, la gamma
si estende progressivamente
con
nuovi modelli. Alla
originale versione a
3 porte (1.590 cc.,
74 CV) si affiancano
successivamente i
modelli a 5, porte a
passo lungo, e
quella cabrio (denominata
Open
Air), mentre nel ‘94
viene introdotta la
nuova motorizzazione
a 16V (la potenza
sale a 98 CV)
e, due anni dopo,
esordiscono i nuovi
motori 2.0 V6 (disponibile
sulla SW
5P, sviluppa 136 CV)
Nissan GR (Grand Raid)
e l’attesa versione a gasolio; quest’ultima disponibile sulla Vitara 1.9
TD SW 5P
(1.905 cc., 75 CV) e sulla Vitara 2.0 TDi SW 5P (87 CV).
Sempre nel settore delle piccole 4x4, verso la fine dell’88 arriva in
Italia un altro
fuoristrada giapponese, la Daihatsu Feroza, che si propone come una delle
più temibili concorrenti della Suzuki Vitara. Nata da una lunga
esperienza fuoristradistica
della Daihatsu (un’azienda del gruppo Toyota), la Feroza raccoglie l’eredità
di precedenti modelli ampiamente affermati sul mercato nipponico (come
la Taft o la Rocky) e abbastanza conosciuti anche in Italia.
La nuova Feroza presenta una linea molto filante e pulita, con carrozzeria
hard-top (in fibra di vetro) a 3 porte, ed equipaggiata con un motore a
benzina
di 1.589 cc. (16V, 95 CV a 5.700 giri al minuto) con alimentazione
elettronica.
Nello stesso anno inizia l’importazione in Italia della Korando, che
aveva esordito
come una delle vetture ufficiali ai recenti giochi olimpici di Seoul.
Costruita
nella Corea del Sud dalla Ssangyong, la Korando (considerata come una
replica
della Jeep) dispone di un motore Isuzu diesel di 2.238 cc. che sviluppa
61 CV; sul
mercato asiatico è disponibile anche nella versione a benzina, con due
motorizzazioni
(4 cilindri da 2.000 cc. e 6 cilindri da 4.200 cc.).
Nel biennio ‘88-89 il panorama italiano è interessato dalla sporadica
apparizione
di una nuova azienda dall’assetto societario assai complesso, la Ali CIEMME,
che debutta ufficialmente nel settore del fuoristrada. Nostante le
grandi ambizioni
(ca. 4.000 veicoli l’anno) e un discreto successo nelle vendite (agevolato
da un prezzo competitivo), sparirà nel giro di pochi anni, travolta
forse da quegli
stessi meccanismi, strettamente legati ad alcune forze politiche della
regione
nella quale era sorta l’azienda, dai quali era scaturita la sua rapida
crescita. Dopo
una stretta collaborazione con la ARO rumena, la Ali CIEMME aveva venduto
1.980 veicoli nell’86 (su un totale di 19.000 unità assorbite dal
mercato italiano)
e 1.980 nell’87 (su un totale di 25.000).
Il 1989 segna l’anno della grande ristrutturazione e la Ali CIEMME, con
l’inaugurazione
del faraonico stabilimento di Piazzano di Atessa, in provincia di
Chieti, avvia la produzione in proprio di due nuovi fuoristrada
denominati OFF
4WD e Pick-Up Sport Limited Edition.
Entrambi i modelli sono equipaggiati con motori Volkswagen a 4 cilindri di
1.600 cc., disponibili nelle versioni a benzina (74 CV), diesel (54 CV)
e turbodiesel
(70 CV); modeste le prestazioni in fuoristrada, nonostante la trazione
integrale
(inseribile sull’asse anteriore) e le marce ridotte, sia per la scarsa
potenza erogata
dai motori che per la ridotta altezza da terra. La produzione cessa
verso la fine
del ‘92.
Tra le altre meteore a trazione integrale, protagoniste di
un’apparizione (e relativa
immediata scomparsa) ancora più fulminea, tra la fine degli anni Ottanta
e la prima metà degli anni Novanta, vanno segnalate inoltre la Biagini e
la IATO.
La Biagini, nata come una divisione della ACM con sede ad Atessa in Abruzzo,
produsse per un breve periodo un fuoristrada di piccole dimensioni
battezzato
Pass; questo veicolo, derivato direttamente dalla Volkswagwn Golf a
trazione integrale da cui differiva soprattutto per l’assetto rialzato e
un look particolarmente
aggressivo (e grossolano), era equipaggiato con un motore a benzina di
1.781 cc. (72 CV/5.400 giri).
La IATO allestì uno stabilimento a Nusco, in provincia di Avellino, e
assemblò
alla meglio tre modelli di scarso successo caratterizzato da una linea
abbastanza
ordinaria e da tre diverse motorizzazioni Fiat: due a benzina, la IATO
1600 SPI
(1.585 cc.) e la IATO 2000 CHT (1.999 cc.) e uno a gasolio, la IATO 2000
TD (1.929
cc.).
Nel 1988 si affaccia alla ribalta europea un altro veicolo russo, la
Volin 696 costruita
dalla Luaz, equipaggiato con un motore Ford di 1.117 cc.,49 CV, che per
alcuni anni verrà regolarmente importata in Italia a partire dalla fine
dell’89.
Sul versante americano viene presentata a Los Angeles, agli inizi
dell’89, la
Laforza V8 4.9i che rappresenta in pratica la vesione a stelle strisce
della italianissima
Ma- gnum. Seppur equipaggiata con un potente motore Ford V8 a benzina
(4.942 cc.) in grado di erogare 185 CV, la Laforza presenta telaio,
carrozzeria
ed interni della Magnum, spediti direttamente in California dall’Azienda
italiana
di Cherasco; una serie di problemi inerenti alla distribuzione sul
territorio
americano e, soprattutto, il prezzo non competitivo negli States, hanno
purtroppo
decretato l’insuccesso dell’iniziativa.
Nell’ottobre del 1989 viene presentata in Giappone la Nissan Terrano, un
altro
fuoristrada destinato a riscuotere ampi successi anche sui mercati
europei. In Italia arriverà entro l’anno successivo la sola versione
diesel a 3 porte (2.663 cc.,
99 CV), ma entro il ‘91 la gamma dei Terrano disponibili si arricchirà
anche dei
due modelli turbodiesel (a 3 e 5 porte) e delle versioni a benzina 2.4
SW 3 P (2.389
cc., 103 CV) e 3.0 SW 5 P (2.960 cc., 148 CV).
Nel settore dei pick-up arriva sui nostri mercati la Toyota Hi Lux 2.4
Double
Cab (2.446 cc., 83 CV), che riscuote un discreto successo in Italia per
la sua estrema
versatilità che ne consente l’utilizzo, oltre che nel tempo libero e
nelle diverse
attività legate all’aria aperta (tra cui la possibilità di montare una
cellula abitativa
per la trasformazione in camper), anche in svariati impieghi lavorativi.
Sul fronte europeo arriva invece un’altra grossa novità sul finire degli
anni Ottanta
quando la Land Rover presenta in anteprima mondiale al Salone di Francoforte
(1989) un nuovo veicolo, battezzato Discovery, che arriverà sul nostro
mercato nei primi mesi del 1990. Nelle intenzioni dell’azienda di
Solihull la Discovery
dovrebbe inserirsi tra la classica Land e la lussuosa Range, e nasce
soprattutto
con l’intento di rosicchiare quote di mercato ai 4x4 dagli occhi a mandorla
che, proprio in quegli anni (siamo a cavallo tra la fine degli anni ‘80
e gli
inizi del ‘90), spadroneggiano un po’ ovunque sui mercati europei e
nordamericani.
Toyota Hi Lux Double Cab
Land Rover Discovery Nissan Terrano
La nuova Land Rover Discovery (4 cilindri a gasolio di 2.495 cc., 113
CV) è disponibile
nelle versioni SW (a 3 e 5 porte) e può essere equipaggiata anche col
cambio automatico.
Con l’apparizione della Discovery, inoltre, la Rover introduce anche una
radicale
trasformazione nella denomizione del più classico e glorioso modello della
gamma. Le tradizionali Land Rover 90 e 110 diventano infatti da questo
momento
Defender 90 e 110 e, per sottolineare ulteriormente l’evoluzione del nuovo
veicolo, la Defender eredita direttamente dalla Discovery anche il nuovo
propulsore
TDi ad iniezione diretta, con un sensibile incremento della potenza (108
CV contro 86) che, oltre a migliorare le prestazioni stradali e le
condizioni di utilizzo
nell’off-road, dovrebbe agevolare anche la penetrazione sui mercati
nordamericani.
Ed proprio dagli States che, agli inizi del ‘90, esplode il “caso”
Hummer che,
seppur presente da qualche anno, mette a rumore tutto il mondo
dell’off-road.
L’AMC M998 infatti, appena un anno dopo, nel gennaio del ‘91, si esibirà
sui teleschermi
di tutto il mondo nel corso delle evoluzioni nel deserto del Kuwait durante
la missione americana nella Guerra del Golfo. Mastodontico sia nelle
dimensioni
(lungo 4.7 mt. e largo 2.19) che nella motorizzazione (è equipaggiato
con un motore Chevrolet a 8 cilindri di 6.270 cc.), l’Hummer rimane
tuttavia confinato
nelle sterminate praterie yankee, sebbene diversi esemplari siano approdati
anche in Europa (e in Italia), soprattutto tra i collezionisti di
veicoli militari.
Nel frattempo erano arrivate in Italia le nuove Isuzu Trooper II Serie
(Metal
Top e Metal Top SE) con le nuove motorizzazioni TDi 2.8 (2.771 cc., 106
CV), la
Toyota Runner (disponibile sia nella versione col V6 a benzina di 3
litri, presentata
nel 1989 al Salone di Francoforte, che in quella equipaggiata col 4
cilindri a
gasolio di 2.5 litri) e la Isuzu Campo Sportcab Pick-up LS con motore a
gasolio di
2.499 cc. in grado di sviluppare 76 CV; tutte le novità della Isuzu
(l’azienda giapponese
è uno dei marchi della General Motors, una multinazionale che, oltre
all’Isuzu,
raggruppa anche Opel, Cadillac e Bedford) vengono presentate in anteprima
europea proprio in Italia in occasione della rassegna primaverile di
Exopofuoristrada
‘90.
Non arriverà invece sui nostri mercati (almeno attraverso i canali
ufficiali) un
altro fuoristrada della stessa casa giapponese, la Isuzu MU (Misterious
Utility),
che aveva debuttato nell’autunno precedente all’ultima edizione del
Salone di
Tokyo. A metà strada tra un pick-up e una hard-top, l’Isuzu MU è una 4x4
compatta
ed estremamente versatile, equipaggiata con un motore a benzina a 4 cilindri
la cui cilindrata (2.559 cc., 120 CV) penalizzò (per motivi fiscali) la
sua diffusione,
oltre che in Italia e in molti paesi europei, sullo stesso mercato
giapponese.
Creato espressamente per il ricco mercato americano, questo veicolo era
già in vendita negli USA (dove appare anche una versione station-wagon a
5 porte,
battezzata Rodeo, con motore 6 cilindi a V di 3.135 cc. erogante 120 CV) con
il nome di Amigo, ma la sua storia non è destinata ad esaurirsi tanto
presto. Sentiremo
infatti di nuovo parlare dell’Isuzu Amigo poiché, nel giro di circa un
anno, costituirà la base di partenza per un nuovo ed interessante
progetto dal quale
scaturirà uno dei fuoristrada più noti e venduti su tutti i mercati
europei nei
primi anni Novanta. Da segnalare inoltre in questo periodo la
presentazione, al
Salone di Ginevra del ‘90, del pick-up Volkswagen Taro 2.4i 4x4,
disponibile nelle
versioni Double Cab e Normal Cab, dotato di motore a benzina a 4 cilindri
(2.366 cc., 114 CV); entrambe le versioni non verranno importate in
Italia, dove
arriverà invece un modello analogo privo di trazione integrale.


[segue dagli anni 90']
--
Diego *Nerone*
Corrado
2015-06-14 10:13:43 UTC
Permalink
Molto interessante anche se l'autore parlando di Italia si è dimenticato di citare il Magnum Fissore, che ebbe un discretosuccesso commerciale (esteticamente ricordava una Fiat uno gonfiata). La Fissore poi nei primi anni 2000 sali alla ribalta perché voleva riportare in auge il marchio di lusso Isotta Fraschini ma alla fine non se ne fece più nulla
Corrado
2015-06-14 10:16:07 UTC
Permalink
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Isotta_Fraschini
Diego®
2015-06-15 06:38:49 UTC
Permalink
Post by Corrado
Molto interessante anche se l'autore parlando di Italia si è dimenticato di citare il Magnum Fissore, che ebbe un discretosuccesso commerciale (esteticamente ricordava una Fiat uno gonfiata). La Fissore poi nei primi anni 2000 sali alla ribalta perché voleva riportare in auge il marchio di lusso Isotta Fraschini ma alla fine non se ne fece più nulla
Sì hai ragione. Nel capitolo dal 1991 al 1994 viene citato il
Freeclimber della BERTONE ma non il Magnum Fissore.
--
Diego *Nerone*
Alex
2015-06-15 07:29:47 UTC
Permalink
Sì hai ragione. Nel capitolo dal 1991 al 1994 viene citato il Freeclimber
della BERTONE ma non il Magnum Fissore.
L' aro cm era 4wd?
--
Alex
(JDM, 420+ 129, 44)
"Vags are for fags."
"Il policamente corretto mi ha rotto i coglioni
se non volete critiche non scrivete."
Miklo
2015-06-15 09:15:56 UTC
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Post by Corrado
Molto interessante anche se l'autore parlando di Italia si è dimenticato di citare il Magnum Fissore,
che ebbe un discretosuccesso commerciale (esteticamente ricordava una Fiat uno gonfiata).
Quantifichiamo il discreto successo commerciale... Se non ricordo male
vendettero quasi esclusivamente alle FdO...
--
Miklo
sign in progress
Diego®
2015-06-15 11:55:09 UTC
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Post by Miklo
Post by Corrado
Molto interessante anche se l'autore parlando di Italia si è
dimenticato di citare il Magnum Fissore,
che ebbe un discretosuccesso commerciale (esteticamente ricordava una Fiat uno gonfiata).
Quantifichiamo il discreto successo commerciale... Se non ricordo male
vendettero quasi esclusivamente alle FdO...
Beh 6000 veicoli venduti in 18 anni tolgono ogni dubbio sul concetto di
successo.

:-DDD
--
Diego *Nerone*
Miklo
2015-06-15 12:29:24 UTC
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Post by Diego®
Post by Miklo
Post by Corrado
Molto interessante anche se l'autore parlando di Italia si è
dimenticato di citare il Magnum Fissore,
che ebbe un discretosuccesso commerciale (esteticamente ricordava una
Fiat uno gonfiata).
Quantifichiamo il discreto successo commerciale... Se non ricordo male
vendettero quasi esclusivamente alle FdO...
Beh 6000 veicoli venduti in 18 anni tolgono ogni dubbio sul concetto di
successo.
:-DDD
:-DDDD
--
Miklo
sign in progress
Corrado
2015-06-14 10:15:07 UTC
Permalink
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Rayton_Fissore_Magnum
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