fastfreddy ®
2006-01-04 17:03:57 UTC
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E' morto l'Ing. GIUSEPPE BUSSO!
Perdonatemi l'errore volontario del titolo, Giuseppe Busso, uno dei più
grandi progettisti dell'Alfa Romeo, un monolite per tutti gli Alfisti, non
ha mai conseguito la laurea, ma per noi sarà sempre il leggendario Ing.
Giuseppe Busso!
In questo momento non riesco a dire nulla di più se non . GRAZIE!
Questo l'ultimo evento a lui dedicato:
Nel cuore dell''Alfa - presentaz. libro di G. Busso
http://www.alfasport.net/forum/topic.asp?TOPIC_ID=1751
Questo il suo bellissimo libro:
Nel Cuore dell''Alfa
http://www.alfasport.net/forum/topic.asp?TOPIC_ID=1762
[su http://www.alfasport.net/news/news.asp?id=528 ]
E' morto Giuseppe Busso
Questa notte si è spento nel sonno l'Ingegner Giuseppe Busso, storico
progettista dell'Alfa Romeo e figura mitica per gli appassionati del
Biscione.
[su http://www.147virtualclub.it/index2.php ]
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GIUSEPPE BUSSO
ALFA ROMEO
DALLE TRAZIONI ANTERIORI DI SATTA ALLA 164
Sono qui per parlare degli studi di vetture con trazione anteriore,
iniziati in Alfa Romeo quarant'anni fa. Molti di quegli studi non andarono
oltre il tavolo da disegno, uno arrivò alla fase di vettura completa
marciante, di uno infine si realizzò il gruppo motore-cambio-differenziale
e si fecero delle prove al banco. Uno si salvò, ebbe gestazione, nascita,
infanzia e maturità regolari e conobbe un successo che dura tuttora: l'Alfa
Sud.
Ma l'ingegner Orazio Satta ed io non avemmo parte, nostro malgrado, nella
vicenda Alfasud e, pertanto, io non andrò al di là della doverosa citazione.
Ritengo che la storia dell'Alfasud sia già stata raccontata; una storia
indubbiamente interessante, probabilmente ricca anche di aspetti umani
singolari: quello di una macchina che in quattro anni viene progettata,
realizzata, messa a punto, mentre parallelamente nasce lo stabilimento che
la dovrà produrre in serie, costituisce un caso poco comune.
Se si dovesse tornare a parlarne, la cosa dovrebbe essere fatta da qualcuno
direttamente coinvolto.
Qualche cenno storico
Il titolo che è stato dato a questa conferenza mi sembra abbastanza chiaro
e se, malgrado tutto, siete qui stasera con noi, dovrebbe voler dire che
siete disposti, prima di arrivare a questa splendida realtà che e la 164, a
sentir parlare, lasciatemi citare il Gozzano della Cattiva Signorina, delle
"nostre rose non colte, ma non per questo meno amate".
Dovrò anche infliggervi, perché mi sembra indispensabile, qualche breve
notazione storica sulla trazione anteriore.
Sulla rivista tedesca Das Auto del dicembre 1981 compare un articolo a mio
parere molto interessante a firma Wolfgang Koenig, "50 Jahre Frontantrieb"
(50 anni di trazione anteriore).
Per l'autore tedesco, naturalmente, i 50 anni cominciano con il Salone
dell'Auto di Berlino del 1931, quando fu presentata la DKW F1, prima vettura
a trazione anteriore, dice il Koenig, prodotta in grande serie.
La DKW era allora - ed è sempre lui che parla - il più grande produttore
mondiale di motociclette. La piccola 2 posti avrebbe dovuto rappresentare
una possibile alternativa per chi fosse stufo delle 2 ruote.
Per la verità il fatto che questa piccolissima vettura (2 cilindri,
trasversali, 2 tempi, 15 CV) nel suo cambio a tre marce mancasse, come le
moto, della retromarcia, non può che dare verosimiglianza alla cosa;
costava anche poco, 1.685 Reichsmark.
Non so se tutti possono trovarsi d'accordo circa questo primato tedesco,
secondo il Koenig ci sarebbe stato un precedente, niente più che un
prototipo, nel 1897 a Vienna, della Casa Graf.
Ma se non se ne fa una questione di soli grandi quantitativi, non si può
ignorare, per esempio, l'enorme lavoro di ricerca svolto in USA sulle
trazioni anteriori, a partire dai primi anni del secolo, lavoro che trovò
spesso sbocco in modelli riprodotti in quantitativi che non meritano di
essere trascurati.
Come non citare nomi come John Walter Christie, Barney Oldfield, Harry
Miller, Cord, Ruxton. Anche Francia e Inghilterra non scherzano; ma non è
questa la sede per parlare di tutti gli ascendenti, grandi e piccoli; mi
limiterò a citare due pietre miliari, Citroen 7 CV, 1934, e Austin Mini,
1959.
Ma il più illustre progenitore, circondato dal fascino dell'era e del dove
vide la luce è il Fardier di Cugnot, trazione anteriore a vapore 2 cilindri
trasversali comparso alle soglie del grande diluvio, che trovò in Luigi XV
un facile profeta. Sono gli anni intorno al 1770. Sapete bene che al Museo
dell'Automobile di Torino ne è esposta una riproduzione.
Il Koenig chiude il suo bell'articolo citando un curioso episodio: a quel
Salone di Berlino un ingegnere tedesco, che ovviamente non concordava sulla
nuova via indicata dalla DKW, così si esprimeva: "Gott, der Herr, in seiner
unendlichen Weisheit, hat die schnellsten Tiere,wie zum Beispiel die Hasen,
nicht umsonst mìt Hinterbeinen zur Fortbewegung ausgestattet". Tradotto e
semplificato: il Signore Iddio, nella sua infinita saggezza, avrà pur avuto
qualche buona ragione per dotare alcune fra le sue creature più veloci,
come ad esempio le lepri, della propulsione posteriore.
Suppongo che il Signore nella sua infinita saggezza, non avrà risparmiato
all'ingegnere tedesco una severa reprimenda per la sua imprudente
dichiarazione, e lo avrà invitato a occuparsi di cose più strettamente sue.
Croci e delizie
La strada della trazione anteriore non fu cosparsa di rose. E' stato
necessario affrontare e risolvere moltissimi problemi per beneficiare del
fondamentale vantaggio di avere anche motrici le ruote anteriori sterzanti
accrescendo così la controllabilità della vettura, specie in condizioni di
scarsa aderenza, e per sfruttare al massimo gli altri grandi vantaggi della
concentrazione in un unico gruppo compatto, complessivamente più leggero e,
alla fine, anche meno costoso, di tutta la parte motrice.
Non va poi dimenticato il grande interesse del carrozziere per una soluzione
che gli dà totale libertà nel gestore al meglio il volume riservato ai
passeggeri e ai bagagli.
Per molto tempo, si è ripetuto fino alla noia che nella Mini la parte
meccanica si appropriava solamente il 20 % del volume totale della vettura,
lasciando il restante 80% alla parte abitativa.
La soluzione dei molti problemi venne facilitata e resa meno costosa dal
fatto che a beneficiarne furono spesso anche le vetture a trazione
posteriore.
Per ricordare i principali e più distanti nel tempo citerò:
· i giunti di trasmissione a velocità costante (omocinetici) prima sulle
sole ruote e poi, dotati anche di capacità di scorrimento, anche all'uscita
dal differenziale,
· la regolazione dì frenata anteriore posteriore (non siamo ancora
all'ABS),
· i miglioramenti nelle mescole della gomma, nella struttura e nel
disegno del battistrada per i pneumatici,
· il servosterzo,
e, tra i più recenti:
· il controllo dello slittamento delle ruote in frenata (l'ABS)
e fra quelli di un futuro già alle porte:
· lo stesso controllo dello slittamento, ma in accelerata (l'ASR,
Antischlupfregelung).
Tutti questi miglioramenti hanno favorito l'estensione della trazione
anteriore a vetture di taglia sempre più grande o comunque con elevato
rapporto potenza-peso.
Penso che la vettura Alfa Romeo di cui tutto il mondo parla in questi giorni
e la piccola DKW del 1931 possono essere considerati due estremi
significativi, almeno per il momento.
Fino a 20-25 anni fa, non era difficile imbattersi in trazioni anteriori con
forti vibrazioni e rumorosità in tiro e in rilascio, altre con forti
differenze di durezza di sterzo a seconda che si andasse in salita o in
discesa, altre ancora che diventavano difficilmente controllabili sotto
frenata specialmente in discesa, altre con violenti ritorni del volante
all'uscita dalle curve, ritorni che per essere caratterizzati talvolta da
forti oscillazioni intorno al punto neutro rendevano problematico e
rischioso l'intervento del guidatore per fermarlo al momento giusto.
Ma il difetto che era forse al più comune a molte delle trazioni anteriori
era la pericolosa differenza di comportamento sul misto fra marcia in tiro
e marcia in rilascio Molte vetture, sottosterzanti sotto tiro, diventavano
di colpo sovrasterzantì quando si toglieva il piede dall'acceleratore, con i
problemi che è facile immaginare per il guidatore meno esperto o
momentaneamente meno attento.
Ma già alla fine degli anni 60 era finalmente possibile trovare delle
vetture a trazione anteriore con tenuta di strada entusiasmante; quella che
a suo tempo mi impressionò di più fu il coupè Audi 100, che per me aveva
solo il difetto di essere larga e squadrata come un armadio.
Il Koenig di Das Auto ricordava come già nel 1981 due auto su tre avessero
la trazione anteriore e prevedeva che verso la fine del secolo saremmo
arrivati al 90%. Basti pensare alla recente, massiccia "conversione" dei
colossi USA.
Il mio primo studio dì trazione anteriore:
Ferrari 6 cil. da 750 cm
La storia della trazione anteriore all'Alfa Romeo non è che un capitolo di
una storia più vasta che alterna fasi tristi e liete; per Satta e per me
questa della trazione anteriore è, purtroppo, una storia, come ho detto
all'inizio, soprattutto di cose che potevano essere e non sono state; ma
queste non furono le nostre uniche, come ben sapete. Molte di più quelle che
sono state e che rimangono, anche se non si tratta di trazioni anteriori.
Ma certo non mi fa dispiacere, come non l'avrebbe fatto a lui, assistere
oggi, anche se non più da protagonisti, a qualcosa che va nel senso che lui
ed io avevamo invano auspicato; finalmente una trazione anteriore Alfa
Romeo con motore trasversale, e con dentro fra le varie motorizzazioni, il
nostro ultimo motore, il 6 V di 60°.
La "mia" storia della trazione anteriore non comincia a Milano all'Alfa
Romeo, ma a Maranello da Ferrari: così, per me, i tentativi ai quali la
sorte ha detto di no non sono stati quattro come per Satta, ma cinque.
Maranello, novembre 1946: ho lasciato l'Alfa da cinque mesi e sono immerso
fino ai capelli nei problemi di costruzione dei prototipi della 125, della
cura delle sue malattie d'infanzia e nel progetto di un motore
sovralimentato; durante una delle memorabili strillate dal Peppo con
noialtri pezzi grossi della Scuderia, alle quali Enzo Ferrari ci ha
abituati, il Capo mi lascia capire che non gli spiacerebbe mettere in
cantiere anche una vettura più piccola, che della 125 utilizzi tutto quello
che si può.
E io mi butto senza indugio; per me non può che essere una trazione
anteriore. Nella proposta che preparerò per il Commendatore metterò in
rilievo come quell'anno al Salone di Parigi siano comparse in gran numero
le "traction" nuove accanto ad altre già conosciute.
Oltre alla Citroen 4 cilindri da 1911 cc, si sono viste la 2 cilindri
Grégoire da 594 cc, la Panhard 2 cilindri da 610 cc, la Mathis 2 cilindri da
707 cc, la Bernardet 4 cilindri da 800 cc, la Skoda 2 cilindri da 615 cc, la
Georges Irat 4 cilindri da 1100 cc, la Claveau 8 cilindri 2300 cc, la Super
Trahuit B 3 cilindri da 3900 cc e la Kaiser 6 cilindri da 3050 cc.
Io propongo per la piccola "traction Ferrari l'uso di una delle due teste
della 125, stessa distribuzione, stesse bielle e pistoni; motore
longitudinale, cambio sotto il carter motore, freni sul gruppo
motore-cambio, guida a cremagliera. Con un passo di 2150 mm e carreggiate
sui 1200 mm dovrebbe venirne fuori una vetturetta sui 3,6 metri, con un peso
di 550-600 kg.
La cilindrata sarà inizialmente sui 750 cc, ma nulla vieterà in seguito di
arrivare anche al litro. Con il 750 è ipotizzabile una potenza dì una
quarantina di CV nella versione base, con una velocità sui 130-140 Km/h.
Ferrari non mi disse subito di no e io buttai giù uno studio a grandi linee
di tutta la meccanica, sospensioni comprese, s'intende.
Ma non passò molto tempo che, parlandone con il grande Saggio, il cavalier
Bazzi, venni a sapere che Ferrari non era entusiasta dell'idea della
trazione anteriore e che se una vettura piccola si fosse dovuta costruire
sarebbe stata quasi certamente una trazione convenzionale. Mi ostinai
testardamente a sviluppare la mia idea alla quale, ovviamente, non potevo
dedicare che le ore dei dopocena e delle domeniche e ne venne fuori un bel
pacco di disegni e di calcoli.
Con l'avanzare del 1947, arrivarono i dispiaceri che mi fecero accogliere
l'invito di Satta a tornare con lui come una liberazione; quando feci
fagotto per tornare a Milano raccolsi i miei inutili studi e li consegnai a
Bazzi, sperando cosi almeno di ritardare il momento in cui sarebbero finiti
nel cestino. Se poi siano stati veramente cestinati, se siano finiti nel
museo degli orrori di Ferrari o se comunque siano arrivati fino a oggi non
so; certo è che se ci fossero ancora mi sarebbe assai caro rivederli e
farveli vedere. Non sfigurerebbero come curiosità in questa chiaccherata.
Ai primi del '48 ero dì nuovo all'Alfa, pronto per cominciare a torturare
anche Satta con il mio pallino della trazione anteriore.
La 1900 e la Giulietta trazioni anteriori mancate
All'inizio del 1948, l'interesse della Direzione Alfa Romeo era orientato
verso una vettura di grossa taglia, destinata nel tempo a prendere il posto,
con costi minori, anche della 6C 2500.
Per questa grossa vettura, piuttosto rozza nella meccanica, si lavorò a
lungo, addirittura anni, ma alla fine per fortuna l'idea, cosi com'era,
venne archiviata.
L'ing. Satta ed io eravamo per una vettura della taglia della Gazzella, di
Wifredo Ricart, bocciata nel 1945, ma più semplice e moderna e che
soprattutto si avvalesse, tutte le volte che possibile, di componenti di
grande serie forniti, a prezzi di mercato, da Case specializzate,
possibilmente Aziende del Gruppo.
Inutile dire che la vettura di cui io stesso abbozzai, verso la fine di
febbraio, il gruppo motore-cambio-differenziale era una trazione anteriore;
inutile dire anche che lo schema di quel gruppo non differiva gran che dal
mio irrealizzato sogno di Maranello; e sogno sarebbe rimasto purtroppo
anche questo.
Per parecchi mesi, solo Satta ed io cercammo di spingere questo progetto;
alla fine di ottobre ci giunse l'aiuto di quello che io allora conoscevo
solo come l'ing. Alessio della Finmec, il quale concordava sulla trazione
anteriore, ma aveva delle preferenze, non condivise nè da Satta nè da me,
per un 4 cilindri piatto. E' probabile che il primo pezzo grosso che in
Alfa pensò ai 4 cilindri contrapposti per una vettura da turismo sia
proprio stato lui, Alessio.
Dapprincipio furono soltanto delle garbate pressioni in pro di questa
soluzione; ma quando si accorse di qualche tergiversazione da parte nostra,
l'ing. Alessio mise da parte il fair play e chiese perentoriamente uno
studio del "suo" motore.
In poco più di una settimana, il più promettente elemento della nouvelle
vague di progettisti, Edo Masoni, mise insieme uno studio di massima;
ancora recentemente mi rammentava che glielo feci fare alla Scuola dove si
ripeté, con lo stesso ingenuo apparato di sicurezza, la vicenda che nel
novembre 1945 aveva portato me a disegnare, per far contento quella volta
l'Ing. Gallo, un motore con distribuzione a foderi.
La cilindrata del nuovo motore doveva essere sui 1750 cc. Io preparai una
descrizione delle due soluzioni, 4 in linea e 4 piatto, sempre trazione
anteriore. Ai primi di gennaio 1949, l'ing. Satta venne spedito a Roma ad
illustrare il tutto al supremo consesso; purtroppo fece ritorno con un
categorico no alla trazione anteriore da parte del vertice e con la
richiesta urgente di un 6 cilindri, trazione convenzionale, sui 2 litri.
Rammento che Satta si prese una girata da Alessio per non avere almeno
difeso il 4 cilindri.
Comunque, l'influenza di Alessio andava crescendo e sarebbe culminata in
ottobre con la nomina a Direttore Generale; l'idea del 6 venne lasciata
morire e lui non insistette oltre con il 4 piatto. La vettura nuova
sarebbe stata la 1900, ma niente trazione anteriore; e per un pò di
trazione anteriore in Alfa non si sarebbe più parlato.
Per la verità, se si pensa che al progetto della 1900 si cominciò a lavorare
di impegno soltanto dopo il rientro di Satta da Roma (gennaio 1949), che il
primo motore, ancora con basamento in alluminio, cominciò a girare un anno
dopo, che la prima uscita in strada ebbe luogo il 2 marzo 1950, con Sanesi,
Garcea, Nicolis e me (ricordo ancora il "100 giorni come questo" rivoltomi
da Garcea), e che la vettura venne presentata alla stampa il 2 ottobre 1950,
bisogna dire che non ci sarebbe stato spazio per una trazione anteriore
negli stessi tempi; poco più di un anno e mezzo. Ma non per nulla Ferrari,
nel suo 'Ferrari 80" mi dà dell'ostinato.
Seguirono due anni di grossi dispiaceri per Satta, per Garcea e per me; chi
volesse saperne di più farebbe bene a dare un'occhiata al bel libro di Tito
Anselmi sulla Giulietta.
In sostanza, Satta rischiò di dover lasciare il suo posto, Garcea dovette
farlo per davvero e io non ripetei da Milano la fuga che avevo fatta da
Maranello (stavolta la destinazione sarebbe stata ovviamente Torino) solo
perché mi venne buttato da rosicchiare un meraviglioso osso, il progetto e
la messa a punto della Matta.
Gioachino Colombo lasciò l'Alfa Romeo a settembre 1952; Garcea era stato
rimesso al suo posto già alla fine di luglio; e fin dalla metà di marzo, per
volere di Satta, io avevo avviato in un reparto riservato lo studio di una
nuova piccola vettura (a trazione anteriore, s'intende, se no perché sarei
"ostinato"?) e quello di una nuova vettura da corsa a 4 ruote motrici, la
160.
Mi è stato recentemente concesso di scavare nel vecchio archivio disegni
dell'Alfa Romeo; quello che è saltato fuori meriterebbe da solo un libro, in
cui le illustrazioni si conterebbero a centinaia e dove le vicende degli
uomini che sono legati a quei disegni sarebbero forse più avvincenti della
storia puramente tecnica.
Purtroppo, non è saltato fuori nulla che riguardi le nostre grandi manovre
sulle trazioni anteriori che precedettero la 1900; in compenso è venuta
alla luce una chicca: uno dei numerosi studi, ma solo uno, di trazione
anteriore, fatti fare da me nel 1952 nel famoso reparto top secret.
Si tratta di un motore a 2 cilindri in linea, trasversale. Si badi bene
alla data, 3 giugno 1952. Lo studio è di Mario Colucci, il bravo progettista
che poi Abarth mi portò via nel 1959.
L'originale dello studio di questa "vettura 1361, prima soluzione" è in
condizioni disastrose. Dopo aver invano tentato di fare delle copie, l'ho
lucidato io stesso, reinventandone una larga parte perché alcuni punti sono
completamente distrutti; cinquant'anni fa, quando ero calcolatore alla
Fiat, la sera a casa, per integrare il non ricco stipendio lucidavo come
tanti altri i disegnini delle descrizioni dì brevetto per l'organizzazione
Jacobacci.
Per completare il maquillage del disegno rifatto, un giorno di maggio 1986,
un incaricato del Centro Tecnico prese originale e nuovo lucido e andò a
Torino da Mario Colucci, che fu ben lieto di riscrivere di suo pugno,
firmandola, la vecchia dicitura. Il risultato di questa operazione lo vedete
nella fotografia. L'originale, o almeno quella specie di Sindone che ne è
rimasto, è custodito negli archivi del Centro Tecnico di Arese.
Come già dissi, lo studio di Colucci si riferisce solo ad una delle
soluzioni esaminate. A vero dire le idee, in alto loco, erano parecchie ma
in compenso molto confuse.
In un primo contatto con l'ing. Quaroni, che era succeduto ad Alessio, si
era parlato di una cilindrata sugli 800 cc. L'ing. Gallo, presidente,
spingeva invece per una 350 cc.
Iniziammo, senza troppa convinzione, vari studi per tradurre in grafico i
desideri delle varie persone che contavano, cercando di portarle verso
cilindrate meno misere, sui 900 cc: questo avveniva in aprile 1952. Il
12 maggio, vi fu una riunione di tre grossi personaggi, Gallo, Quaronì e
Luraghi, e ne usci la richiesta di una vettura piccolissima: si parlò
addirittura di motore a 2 tempi. Prevalse, alla fine, una certa
ragionevolezza e sì decise di partire con 600 cc quattro tempi. Una delle
soluzioni prese in esame è appunto quella schizzata da Colucci.
Si trattava, come ho già detto, di un 2 cilindri in linea trasversale,
raffreddato ad aria, blocco unico motore-cambio-differenziale-freni
sospensione anteriore con una balestra trasversale superiormente e con in
basso i soliti triangoli, guida a cremagliera. Sospensione posteriore a
balestre con un tubo rigido collegante le ruote.
A quell'epoca, non si parlava ancora di giunti omocinetici, Rzeppa o
similari, o di tripodi, e infatti è ben visibile il doppio cardano "alla
Citroen" sulle ruote; all'interno un cardano semplice, purtroppo, fungente
anche da scorrevole.
L'abbozzo di linea della carrozzeria non vuole avere un significato preciso;
credo che anche i carrozzieri a quell'epoca siano diventati matti con decine
di studi per andare dietro alle varie, raramente convergenti idee dei
bigs.Pian piano, gli estremismi si attenuarono ancora, e cominciò a farsi
strada l'idea di un 750 cc raffreddato ad acqua, sempre trazione anteriore;
ma non è venuto fuori nessun disegno al riguardo e non ricordo se fosse
ancora un motore trasversale o una versione aggiornata dello studio
ante-1900 del 1948.
E qui suonò la solita, ben conosciuta emergenza: non c'è tempo per le
novità, niente trazione anteriore. A spegnere i nostri entusiasmi era questa
volta, guardate un po', l'ing. Rudolf Hruska, consulente generale dell'Alfa
Romeo da metà 1952.
Dei nostri ultimi studi sulla trazione anteriore rimaneva soltanto il
numero che avrebbe contraddistinto il nuovo progetto, 750. Alla fine di
agosto 1952 iniziammo lo studio di una vettura convenzionale da 1000/1100
cc, che sui disegni continuò a chiamarsi 750 anche quando, cresciuta a 1300
cc venne ribattezzata, alla presentazione a Milano e a Torino, meno di due
anni dopo, Giulietta.
Facendo un po' di conti sui tempi è lecito pensare che, anche se avessimo
dovuto impiegare quattro anni a mettere insieme una trazione anteriore,
invece dei meno di due ai quali eravamo avvezzi, saremmo arrivati a
presentarla al massimo nel 1956, forse con un motore trasversale, 3 anni
prima della Mini.
Ma la storia non si fa con i verbi ai condizionale, con i se, i ma e i
forse; l'amara realtà era, ancora una volta, niente trazione anteriore.
Peccato.
La 103, la vettura esposta al Museo
Malgrado sia l'unica trazione anteriore Alfa Nord che sia scesa in strada e
di cui il Museo custodisca un esemplare, è forse la vettura di cui è più
difficile raccontare la storia.
Ebbe una gestazione estremamente lunga; da quando si cominciò a parlarne,
1954, a quando il prototipo cominciò a circolare (seconda metà del 1962)
all'Alfa si succedettero tre Presidenti e tre o quattro Amministratori
Delegati e Direttori Generali. In quegli anni, venne completata, con la
berlina e con lo spider, la prima gamma Giulietta, seguirono poi le varie
edizioni con più carburatori, le cilindrate maggiori, sempre Giulietta;
arrivarono la SS, la SZ, la Giulia; nella fascia più grande comparvero le
2000, berlina coupé e spider, e poi le edizioni con il 6 cilindri 2600;
infine a ottobre 1962, a Torino sarebbe comparsa la TZ.
La storia della 103 cominciò cosi: verso la fine di aprile 1954, al Salone
di Torino dove erano stati presentati la Giulietta Sprint e il Romeo, l'ing.
Hruska mi informò dell'intenzione della Finmeccanica di mettere in cantiere
una microvettura. Disse proprio così, microvettura.
Erano ancora caldi i precedenti studi di cui ho appena parlato; subito
dissotterrata l'ascia di guerra, ripresero le esercitazioni intorno alle
soluzioni più varie (forse sarebbe meglio dire più pazze).
Già ai primi di dicembre un gruppo di big con a capo il dr. Luraghi e con
dietro Quaroni, Cattaneo, Alloisio e Hruska venne a trovarci per prendere
visione dei nostri studi; qualcuno (chi sarà stato?) ebbe il discutibile
gusto di battezzare Pidocchio la futura vettura, forse perché ciascuno
aveva in testa un'immagine diversa.
A marzo 1955, la Fiat presentò la 600. Da allora, io presi a sostenere che
la nostra vettura avrebbe dovuto essere qualcosa di più, e non di meno,
della nuova Fiat, ma soltanto molti mesi più tardi, in una riunione da
Quaronì con Hruska, Satta, Alloisio e Ponte di Pino, venne finalmente
concesso, come tema, 110 km/h, meno di 600 kg, 620.000 lire.
Il tempo passava; al principio del 1957, le idee cominciarono a coagularsi
intorno a una soluzione di circa 900 cc, raffreddamento ad aria, trazione
anteriore (naturalmente) e si cominciò addirittura con l'esaminare uno
schema con 4 cilindri contrapposti.
Ma l'interesse per il raffreddamento ad aria ebbe vita breve. Il 4
cilindri piatto, disposto come nell'Alfasud, diventava troppo lungo, oltre
che per le alette di raffreddamento anche per la presenza della soffiante e
si tornò a parlare di motore trasversale, raffreddato ad acqua, e, come
stavolta era fatale, di due assi a camme in testa.
I primi disegni, se così si può dire, seri, portano la data del gennaio
1958, e configurano già con una certa approssimazione, la vettura che è
esposta al Museo.
In febbraio1958, l'ing. Hruska pose come termine invalicabile la fine
dell'anno
per la consegna di tutti i disegni; inizio della produzione indicativamente
dopo le ferie del 1961.
Ricordo che Satta, quanto a produzione, era molto scettico, poco convinto
che i finanziamenti per le attrezzature fossero disponibili per tempo;
considerando poi le difficoltà che già incontravamo per fare abbastanza
Giuliette era, secondo lui, un'illusione la seconda metà del 1961 per la
nuova vettura.
Purtroppo, alla fine di marzo1958 Hruska si dimise; mantenne ancora qualche
contratto part-time con noi. Ma un'incrinatura nei programmi evidentemente
non si sarebbe potuta evitare. In ottobre si seppe del programma di
montaggio da noi della Dauphine, il che non poteva che far crescere il
pessimismo di Satta.
Hruska rientrò ai primi di marzo 1959 ma per rimanere meno di un anno.
Negli stessi primi giorni di marzo, l'ing. Quaroni, riunitici in Direzione,
si congedava da noi. Chi abbia conosciuto quest'uomo, sanguigno, irruente,
ma capace di tanta amicizia, potrà forse comprendere l'emozione di vederlo
salutarci con le lacrime agli occhi.
Quaroni era un direttore capace di mettere una persona a terra con una
critica fulminante, da farle rimpiangere di essere nata, salvo poi darle
una mano per rialzarsi e farle capire che, dopo tutto, essere nato non era
poi tanto male.
Fra i miei ricordi meno malinconici rivedo spesso il quadro della cena a
Neckarsulm, alla fine del 1957 con i pezzi grossi della NSU, che ci aveva
invitati a veder girare il loro motore rotativo.
Quaroni che racconta le sue terribili barzellette, adatte, come si dice
oggi in televisione, a un pubblico adulto e Hruska che le traduce nella
lingua di Goethe per gli ospiti; risultato, sghignazzate e urla da far
crollare le mura e accorrere la polizia.
Quaroni aveva introdotto una simpatica consuetudine, che i suoi successori
non raccolsero: la vigilia di Natale percorreva a passo da bersagliere gli
uffici tecnici e faceva gli auguri e stringeva la mano a tutti, da Satta
alle donne delle pulizie, se c'erano anche loro. A noi era stato detto di
non mollare con lo studio della trazione anteriore da 850 cc; non
era necessario, nessuno di noi pensava a mollare.
Ma ci mordemmo i pugni quando alla fine di agosto 1959 comparve su
Automobil Revue la descrizione della Austin 850 a trazione anteriore con
motore trasversale di Issigonis. Riandando ai nostri poveri studi del 1952
avremmo voluto prendercela con qualcuno, ma non sapevamo con chi.
A ottobre, Hruska se ne andò per la seconda volta; lo avremmo rivisto
soltanto nel 1967; ma i bei tempi della intensa, felice collaborazione per
la Giulietta e per tanti altri studi erano finiti.
Nel 1967, Hruska aveva dinanzi a sé la grande impresa dell'Alfasud: le idee
su se e come fare la trazione anteriore si erano finalmente chiarite. Ma
per Satta e per me ci sarebbe stata solamente la panchina. Comunque,
tornando al 1959, la vettura malgrado tutto stava pian piano prendendo
forma, come meccanica e come carrozzeria.
Il nuovo amministratore delegato, dottor Mangano, aveva confermato una
cilindrata sugli 850 cc; il nuovo progetto sì chiamava ormai Progetto V, la
gente non si grattava più in testa quando se ne parlava.
Il motore parti con un alesaggio di 66 mm e corsa 65,5 mm, cioè 896 cc. Dopo
vari studi, definimmo per le ruote anteriori una sospensione classica a
quadrilateri; per far posto ai semiassi, il gruppo molla ad
elica-ammortizzatore, coassiali, venne posto sopra la leva superiore.
Posteriormente decidemmo, per tenere conto della grande variazione di carico
fra vettura vuota e a carico massimo, di fare una sospensione regolabile in
altezza.
La sperimentazione e la valutazione costo/beneficio sarebbero poi state
incaricate di dirci se per una vettura di quella fascia la regolazione di
livello era o no opportuna.
La cinematica posteriore non era molto banale, un braccio longitudinale e
uno trasversale attraversante tutta la vettura, per ogni ruota; gruppo
molla-ammortizzatore, coassiali, dietro ogni ruota. Regolabile era
l'appoggio superiore della molla, mediante una coppia vite senza fine-ruota
elicoidale; le viti erano comandate tramite alberini flessibili come quelli
dei contachilometri, da un unico motorino elettrico posto nella
bagagliera.
Avremmo scoperto con un po' di malinconia una sospensione posteriore
analoga alla nostra, ma senza regolazione e con balestre invece che con
molle ad elica, sulla Honda 1300 del 1968.
Quanto alla regolazione con l'appoggio superiore della molla ad elica mobile
lungo l'asse molla-ammortizzatore, ne avremmo visto un esempio sulla Rolls
Royce Silver Shadow del 1965: su questa vettura lo spostamento
dell'appoggio superiore era eseguito tramite un pistone idraulico
utilizzando probabilmente l'olio in pressione del servosterzo.
Non vorrei tediare quelli fra voi meno ghiotti di particolari tecnici, ma
non si può tacere della testa in due pezzi, facilmente fondibili in
conchiglia, del comando dei due alberi a camme con una sola riduzione per il
quale era stato deciso di sperimentare sia la cinghia che la catena, dello
speciale comando del ventilatore e dei giunti omocinetici. Questi due ultimi
argomenti meritano qualche parola in pìu.
Non erano ancora disponibili i comodi ventilatori elettrici odierni; noi
avevamo un alberino passante attraverso l'albero primario del cambio,
collegato permanentemente da un lato all'albero motore e dall'altro a una
puleggia che spuntava fuori dal cambio.
Questa puleggia comandava il ventilatore, che aveva l'asse a 90°, mediante
una sottile cinghia con parecchie piccole scanalature trapezoidali
all'interno, quelle che già allora si chiamavano Poly-V, analoga a quella
dei recenti motori Mercedes e della stessa 164. Per arrivare al
ventilatore, la cinghia passava sopra due puleggie, una folle e l'altra
comandante la dinamo, le quali davano alla cinghia stessa la deviazione di
90.
Anche se sui motori esposti al Museo non figura, era previsto un innesto
elettrico del ventilatore, azionato in funzione della temperatura
dell'acqua,
come si fa oggi. L'intero gruppo era stato da noi sviluppato con la
Peugeot; io stesso feci parecchie puntate alla Casa francese nel 1960, per
trattare l'argomento.
La Peugeot presentò a Parigi nel 1965 la sua prima trazione anteriore con
motore trasversale, la 204, con un sistema di questo genere per il comando
del ventilatore. Il solo staccaventilatore elettrico, se non erro, era
stato però applicato ai tipi 203 e 403 già nel 1955.
Un punto importante è quello dei giunti omocinetici dei semiassi. Che
dovessero essere tutti omocinetici era stato fissato in partenza. A quel
tempo, non era ancora disponibile un giunto omocinetico a sfere del tipo
Rzeppa o similare che fosse dotato anche di scorrimento assiale; cominciava
invece a farsi notare il tripode della Glaenzer Spicer francese.
Noi prevedemmo la sperimentazione di tutte e due le soluzioni; per il primo
tipo dovemmo naturalmente provvedere noi a interporre uno scorrevole.
Ammaestrati da precedenti esperienze (3000 CM) su semiassi per ponti
posteriori, che ci avevano condotti ad usare dentature scorrevoli su grandi
diametri per ridurre le spinte assiali sotto coppia, che disturbavano le
sospensioni, realizzammo uno scorrevole con teste sferiche abbastanza
distanti piuttosto costoso, sperando che fosse solo una soluzione
provvisoria in attesa di uno Rzeppa scorrevole o di un tripode.
Gli omocinetici scorrevoli hanno segnato una tappa importante, almeno per
le vetture, sia per trazioni anteriori che posteriori.
I freni, naturalmente, erano a disco gli anteriori, a tamburo i posteriori.
Non vi sono altri particolari tecnici di cui valga la pena parlare, e sarà
forse meglio andare alla conclusione, triste come al solito.
Ai primi di gennaio 1962, quando il motore di quella che invece di Progetto
V era ora contraddistinta dal numero 103 non aveva neppure dato il primo
vagito, Satta mi disse che in Direzione c'erano dei ripensamenti, che la
taglia della 103 era ritenuta troppo piccola, che si voleva una 1300, e che
si era pronti a rinforzare la consistenza dell'ufficio tecnico per arrivare
al più presto alla nuova 1300 a trazione anteriore.
Il motore della 103 cominciò a girare il 28 febbraio del 1962, dando 49 CV.
La vettura prese a muoversi 18 agosto; risultò pesare 720 Kg, faceva 139
km/h e il Km da fermo in 41,2". Io riuscii a guidarla in una breve uscita
in settembre, e ricordo che aveva uno sterzo terribilmente duro. Aveva
bisogno, poverina, di una bella messa a punto, ma la messa a punto non
venne mai neppure iniziata.
Arrivati qui con il racconto bisognerebbe schiacciare il tasto
"Dissolvenza', meglio ancora se "Pietosa dissolvenza"
Se può interessare, posso aggiungere che gli studi della nuova 1300 furono
subito avviati, con quale entusiasmo si può ben immaginare, soprattutto se
si tiene conto che non passò molto tempo e si cominciò a cianciare di
motore piatto anteriore, di motore piatto posteriore, di una eventuale R8
con motore Alfa, per poi finire a riparlare di una 1300 convenzionale, anche
se aggiornata ai tempi.
Se i miei ricordi non mi tradiscono, ad abbozzare la forma della nuova
vettura, la 10301, fu interessato per breve tempo anche Bertone. E poi
tutto fini in nulla come era già accaduto molte, troppe volte
L'idea che la prossima volta il progetto di una trazione anteriore venisse
affidato ad altri che non a noi ovviamente non poteva piacermi, anche se noi
a quell'epoca eravamo immersi fino al collo nell'operazione Alfetta.
Ma chi ne fu maggiormente amareggiato e non riuscì mai a mandare giù il
boccone fu Satta. Al punto che, in piena produzione Alfasud ancora sperava,
e si raccomandava a me perché non mollassi, che ci fosse tuttora spazio per
una trazione anteriore "nostra". Ma le ultime volte che questo accadde,
eravamo nei primi mesi del 1974, non lo incontravo più in ufficio al
Portello o ad Arese, ma in una stanza di ospedale.
Io andavo spesso a trovare l'ing. Hruska al n 25 di viale Teodorico, dove
aveva l'ufficio e dove lavoravano anche i suoi progettisti; non dovette
faticare molto per convincermi che l'unico modo di uscire dal groviglio di
idee poco chiare e dalle inevitabili complicazioni e modifiche ai programmi
lungo un incredibile arco di tempo, legate anche agli avvicendamenti negli
alti comandi milanesi e romani, era quello di partire, come era stato fatto,
dalla carta bianca, poche persone a decidere (praticamente, il dr. Luraghi
e lui) e di far presto. E fecero presto, e fecero, beati loro, quello che
volevano
Chissà se qualcuno ricorda ancora, come me, la conferenza stampa che il dr.
Luraghi tenne al Museo dell'Automobile di Torino ai primi di novembre 1971,
presentando la vettura.
Allora invidiai l'orgogliosa risposta di Luraghi a un giornalista, non
ricordo più chi, che gli chiedeva perché mai un certo particolare, meccanica
o carrozzeria dell'Alfasud, fosse stato fatto in quel modo; l'incauto si
ebbe una risposta pressapoco di questo tenore: "Vede, quando noi abbiamo
messo insieme questa macchina ci è parso che il particolare cui lei accenna
andasse fatto così come lo può vedere; se un giorno capitasse anche a lei
di dover fare un'automobile, veda di regolarsi come meglio crederà."
Mi capita ancora oggi di sorprendermi talvolta a ridacchiare fra me e me
pensando a cosa sarebbe successo se quel giorno il dr. Luraghi avesse usato,
per esprimere lo stesso concetto, i termini a dir poco maleducatì, ma tanto
pittoreschi, che a me e forse non a me soltanto, è capitato qualche volta di
adoperare in casi analoghi. Certo è che il putiferio e il divertimento,
anche se non per tutti, avrebbero sicuramente superato il livello della
serata di Neckarsulm, di tanti anni prima.
La 152
Nel dicembre 1966, l'ing. Satta mi informò che ad alto livello si parlava di
una vettura medio piccola che l'Alfa avrebbe dovuto produrre nel Sud.
Qualche mese più tardi, si seppe che per la realizzazione di quel progetto
era nata a Napoli la SICA, sotto la guida dell'Ing. Hruska. Anche a Milano
si parlava di una vettura nuova, una nuova Giulia; era il marzo 1967,
quando Satta sfogava spesso con me la sua amarezza per non essere stati noi
interessati al progetto della vettura del Sud. Per la nuova macchina ci
venne data libertà per tutta la meccanica salvo che per il motore, che
avrebbe continuato ad essere il vecchio buon 4 cilindri del 1954;
cilindrata sui 1800 cc.
La sospensione posteriore venne scelta nel corso di una memorabile seduta di
prove, nel giugno 1967, nella zona collinosa prossima al Passo della Futa.
Vennero poste a confronto due GTA con motore 8 cilindri e ciascuna con una
diversa sospensione posteriore indipendente, la 2000 Sportiva con il suo De
Dion; la bella addormentata dal colore dell'argento giaceva da oltre 10
anni nel deposito dal quale sarebbe poi nato il Museo.
Venne ripescata, messa a punto e munita di una gommatura aggiornata; e
nelle rudi prove sulle strade fra Pian del Voglio e Firenzuola ebbe la
meglio l'arzilla vecchietta, a giudizio unanime di Sanesi, dell'ing. Fanti
delle Esperienze e mio.
Sono sicuro che Sanesi non fu influenzato in quella occasione dal ricordo
della Mille Miglia 1953. quando con una 3500 munita di una identica
sospensione posteriore si era permesso, prima di ritirarsi per un guasto al
telaio, di arrivare a Pescara in testa alla corsa precedendo di 5 minuti la
prima Ferrari, la 4500 di Farina. Certo però che, quel giorno, il pensiero
di tutti noi andò alle vicende di quegli anni lontani, ad altre rose non
colte o colte male.
Si parti così con il De Dion, aggiungendo il cambio in blocco con il
differenziale; la nuova vettura si chiamava 116, la futura Alfetta, futura
nuova Giulietta, futura Alfa 90 futura Alfa 75.
Quello stesso giorno, il 21 giugno 1967, cominciava a girare al banco uno
strano motore, il 108. Satta era stato criticato perché Busso era soltanto
capace di progettargli dei motori con due assi a camme in testa; la cosa mi
fece arrabbiare parecchio, e così accadde che poco dopo arrivarono in
officina i disegni di un motore un po' matto per avere il comando della
distribuzione con cinghia sistemata nella parte posteriore del motore, a
ridosso del volano.
La parte di maggiore rilievo però era la testa, ancora a calotta sferica,
con valvole a V stretto; un solo asse a camme comandava direttamente le
valvole di aspirazione nel modo solito e quelle di scarico attraverso un
bicchierino trasversale, una breve punteria e un bilanciere. A farla breve,
era il disegno di testa che sarebbe poi stata usata per il 6 cilindri a V.
Le prime prove di iniezione elettronica furono appunto fatte dalla Bosch a
Parigi su questo motore, in attesa che arrivasse, nel 1971,. il 6 cilindri.
Questo 4 cilindri esiste ancora; sono arrivato appena in tempo a salvarlo
dalle grinfie del rottamat, insieme con il prototipo del gruppo motore
cambio 152.
Quando a Monza si trattò di definire quale motore si sarebbe montato sulla
nuova Giulia in Direzione nessuno volle sentir parlare di nuove teste (il
108 era già in costruzione) e tutti si espressero, come ho già detto, per il
buon vecchio due assi a camme
Il prototipo della 116 mosse i primi passi nel luglio 1968, nei giorni in
cui cominciava a girare al banco il primo motore Alfasud; per la vettura di
Napoli i primi passi sarebbero arrivati alla fine di ottobre dello stesso
anno.
Alla fine del 1969 ebbe inizio un periodo burrascoso, destinato a durare
anni e a condizionare in senso non certo positivo il lavoro di tutti,
malgrado rari squarci di bonaccia; si tratta del lungo ciclo di scioperi
cattivi, con intimidazioni e violenze, di cui ancora nel 1973 vi era
traccia, se alcune riunioni della Direzione si tenevano tuttora per forza di
cose fuori dell'azienda.
Non è un bel ricordo per me la visione di Satta che rifiuta, a quelli che
gli hanno invaso l'ufficio, di andarsene e perfino di alzarsi dalla sua
poltrona, e viene portato fuori dall'ufficio a braccia, seduto in quella
poltrona; era il novembre 1970, il diciottesimo giorno.
L'Alfetta era stata presentata a Balocco al Presidente e agli altri "bigs"
dell'azienda a settembre 1970 e aveva trovato tutti entusiasti, ma un anno
più tardi, quando doveva partire la produzione, sia pure con cadenza
modesta, eravamo in un mare di guai, con la meccanica e con la scocca;
rotture, durate scarse, rumori, vibrazioni, cose da ammattire.
Satta mi disse che soltanto in altre due circostanze, quella dei guai del
diesel 2 tempi sul Romeo e quella di alcune rotture di elementi della scocca
delle vetture di qualche anno prima, aveva sentito così vicina la Rupe
Tarpea.
Malgrado ciò, rammento come in una riunione in Direzione per discutere dei
nostri terribili problemi, Satta esaltasse l'"animus" che ora pervadeva
tutti i suoi collaboratori delle Progettazioni ed Esperienze, tesi come
disperati a uscire dal pelago.
Per intanto, era comunque fuori luogo parlare di produzione e, alla famosa
conferenza stampa del novembre 1971 a Torino il Presidente non poté trattare
che di Alfasud, perché la 116 era ancora in alto mare.
Si parlava in quel tempo della possibilità che, tenendo conto della naturale
evoluzione della 116 verso dimensioni maggiori e maggiori cilindrate, si
venisse a creare spazio fra essa e l'Alfasud, da doversi colmare con
qualcosa di intermedio.
Il terrore al quale tutti erano in preda per i guai della 116 fece sì che
molti pensassero ad un precipitoso ritorno a qualcosa di più ortodosso.
Naturalmente, la prima cosa che veniva reclamata era di rimettere il cambio
davanti. E neppure Satta poteva rimanere insensibile al grido di dolore che
da tante parti dell'azienda si levava verso di lui, tanto che ancora prima
del 17 maggio 1972 mi chiese di buttargli giù lo schema di un'Alfetta con il
cambio davanti.
17 Maggio 1972, Grignano (Trieste) Presentazione dell'Alfetta ai
giornalisti. Conferenze stampa, interviste, Satta ed io un po' troppo seri,
preoccupati di non farci leggere in fronte l'interno affanno. Pranzo al
tavolo del Presidente, elogi sperticati dì tutti i giornalisti, Busso
intervistato per la radio da Ido Vicari, roba da gelare. Qualche mese più
tardi, io consegnavo a Satta, con molta amarezza nel cuore, lo schema di
un'Alfetta con cambio anteriore; quello studio era contraddistinto dal
numero 152.
Quanto ad arrendermi, però, piano. Ci eravamo tirati su le maniche; tutti
indistintamente. Noi, l'Espe, la Qualità, la Produzione. L'Alfetta pian
piano migliorò, quanto bastava perché a novembre di quel 1972, un anno dopo
il nostro forfait alla Conferenza Stampa di Luraghi, l'autotelaio
dell'Alfetta, sezionato e in movimento, venisse ritenuto non indegno di
essere esposto al Salone di Torino. Questo era evidentemente un esplicito
no-return.
L'arrivo del sereno aiutò Satta e me a far accettare in Direzione l'idea che
la vettura intermedia, la vettura di transizione, fosse semplicemente
un'Alfetta ridotta di cilindrata e di dimensioni.
Provvisoriamente sarebbe stata chiamata Alfettina, mentre la versione più
grande, con il 2 litri, non poteva chiamarsi ovviamente che Alfettona. Al
momento della commercializzazione erano la nuova "Giulietta" e la "2000".
Mi era ritornato il coraggio, ne avevo bisogno, e a principio di febbraio
1973, convinsi finalmente Satta a lasciarmi di nuovo esplorare, per una
intermedia definitiva, la trazione anteriore. Ai primi di marzo, Satta ci
diede via libera per lo studio di una 152 a trazione anteriore, con un
motore ad hoc
Questa del motore tutto nuovo ci sembrava una cosa quanto mai opportuna:
venti anni con il vecchio 4 cilindri non bastavano? Oltre a tutto, noi
volevamo realizzare un motore che potesse essere montato trasversalmente
sulla trazione anteriore 152 e, fatte salve le differenze nei basamenti,
longitudinalmente sulle trazioni posteriori se avessimo continuato a farne.
Non solo, con un modesto sovrappiù di attrezzature si doveva poter
aggiungere un quinto cilindro per allargare, come qualcuno aveva già
fatto, la gamma delle cilindrate.
Ho parlato di febbraio e marzo 1973; facciamo un breve salto indietro, a
settembre 1972: Guidotti va in pensione. A me sembra che il personaggio
meriti un addio adeguato a ciò che è stato nella storia dell'Alfa Romeo, e
promuovo una cena di commiato a "Stalla", il 27 settembre. Saremo in 40, ma
quello che conta è che c'è anche un Satta in piena forma.
Le fotografie che lo ritraggono mentre pronuncia il discorso al festeggiato
sono eloquenti; eppure sono quelle di un uomo che ha solo poco più di un
anno e mezzo da vivere.
Poco per volta, Satta aveva fatto della trazione anteriore il suo chiodo
fisso. Noi incontravamo grosse difficoltà a trovare posto per i freni
inboard sul gruppo con il motore trasversale, e la cosa non garbava a
Satta, che li giudicava irrinunciabili. L'inconfessata ragione era chiara,
la "nostra" traction non poteva avere nulla in meno dell' "altra".
La notizia dì qualche problema incontrato dall'Alfasud per avere i dischi
all'interno convinsero però, alla fine, Satta che rinunciarvi non era una
debolezza.
Al mio rientro dal Salone di Ginevra a metà marzo 1973, mi attendeva una
novità che sulle prime non parve di grande rilievo: Satta a casa con
l'influenza. Ma si trattava di una brutta influenza se già alla fine di
quello stesso mese di marzo veniva sottoposto ad un pesante intervento, al
Neurologico.
Era l'inizio della fine per Lui e per quella che qualche anno più tardi un
Amministratore Delegato avrebbe chiamato, sottolineando che con questo non
intendeva condannarla, "la dittatura di Busso". E fu l'inizio della fine,
naturalmente, anche per la 152 trazione anteriore.
Per la 152 era previsto il cambio automatico con convertitore di coppia
afflangiato al motore e seguito da rinvii a catena o a ingranaggi verso il
cambio a 4 rapporti.
Un breve commento alle sospensioni: l'anteriore salvo la posizione degli
ammortizzatori, era praticamente quella dell'Alfetta. Quella posteriore non
voleva essere che un esempio, neppure molto meditato; se la cosa fosse
andata avanti, il più logico sbocco non poteva essere che la stessa
sospensione dell'Alfasud.
Dopo che Satta era stato operato, io andavo spesso a trovarlo all'Ospedale
Neurologico, il più delle volte insieme all'ing. Chiti. Sorprendenti furono
la rapidità e la determinazione con la quale tornò ad occuparsi delle cose
nostre, prima per telefono e poi, addirittura, di presenza; non erano
passati due mesi dall'intervento e già partecipava a una prima riunione in
Direzione, seguita da molte altre a breve distanza.
A giugno 1973, lo rivedemmo addirittura nel suo ufficio, al suo posto,
nella ormai famosa poltrona; l'argomento che più amava trattare era
naturalmente la 152, i cui disegni stavano arrivando in officina a ritmo
sostenuto.
L'ultima volta che vedemmo Satta in fabbrica fu alla fine di ottobre, dopo
andavamo a trovarlo a casa: rientrò al Neurologico a metà dicembre e di lì,
malgrado i suoi guai fisici, ricominciò a tempestarci di telefonate,
raccomandandoci instancabilmente la 152.
L'ultima volta che al Neurologico mi lasciarono arrivare fino a lui fu alla
fine di gennaio 1974, quando destai non poco scandalo nei familiari che mi
videro dispiegare dei disegni, naturalmente della 152, sul letto del
malato.
Poi le telefonate di Satta si diradarono; nei primi giorni di marzo, tentai
ancora di vederlo, ma non mi lasciarono entrare da lui. Se ne andò il 22
marzo.
Passato il primo terribile sgomento, non potevamo fare che quello che Satta
si sarebbe aspettato da noi, tirare dritto, e lo facemmo, caparbiamente,
anche se molti, io per primo, non si facevano illusioni.
La 152 andava avanti, come disegni e come costruzione dei prototipi; avevamo
avviato dei contatti con una fabbrica di cuscinetti per esaminare la
applicabilità al nostro motore dei bicchierini di comando delle valvole con
regolazione automatica del gioco.
Per cautelarmi contro lo slittamento delle ruote motrici in accelerata per
le trazioni anteriori con alto rapporto potenza-peso, quale, prima o poi,
sarebbe stata la 152, chiesi al nostro STUR (Centro Studio Ricerche) di
esaminare la fattibilità di un limitatore di potenza automatico, un ABS alla
rovescia.
Non era una novità; in USA era stato usato sulle trazioni posteriori della
fascia alta e poi abbandonato perché l'intervento limitativo creava dei
problemi ai catalizzatori che le nuove leggi sull'inquinamento avevano reso
indispensabili.
La mia speranza era che un'eventuale iniezione elettronica e l'elettronica
in generale permettessero, nel 1974, di riprendere in esame la cosa, almeno
per l'Europa, dove, 10 o 12 anni fa, i catalizzatori non erano ancora
necessari per la maggior parte dei Paesi.
L ASR (Antischlupfregelung) sta pian piano ritornando di attualità, ora, per
vetture e autotreni.
Altro argomento al quale ci dedicavamo allora, era la possibilità di
arrivare a un basamento integrale in lega di alluminio, con i pistoni
"striscianti" direttamente sulla lega leggera.
Alla fine dell'estate del 1970, la General Motors aveva messo in produzione
una vettura, la Chevrolet Vega, con un motore 4 cilindri da 2,3 litri,
basamento integrale in lega di alluminio; la produzione di questo motore
sarebbe continuata fino al 1977 e ci sarebbe stata addirittura una
versione Cosworth 2 litri, 16 valvole, iniezione e accensione elettroniche,
112 CV netti.
Grande specialista della metallurgia per soluzioni di questo genere era la
Reynolds americana, che aveva a Massena (N.Y) una fonderia che forniva alla
GM la lega per i basamenti allo stato liquido addirittura.
Si trattava della lega 390 al silicio ipereutettico; erano recessari
speciali accorgimenti nella colata e nella successiva lavorazione meccanica.
I pistoni richiedevano speciali trattamenti superficiali.
Fra i vantaggi che si attendevano da soluzioni di questo tipo vanno
sottolineati, oltre alla leggerezza, minori problemi con la guarnizione
della testata, possibilità di alesaggi maggiori a parità di dimensioni
esterne del motore, maggiore silenziosità, minori consumi di olio e più
rapido warm-up, con vantaggi nella rapidità di raggiungimento delle normali
condizioni termiche del motore e anche nei riguardi delle prescrizioni
anti-inquinamento
Per acquisire informazioni dirette sui problemi di fabbricazione e di
impiego di basamenti di questo genere, nell'aprile 1974, l'ing. Viganotti,
direttore della produzione, e io andammo a visitare la Reynolds a Richmond,
Virginia, e alcuni specialisti di fonderia di Detroit e di Minneapolis.
Per farla breve, l'ultimo atto di questa telenovela dei pistoni che lavorano
direttamente sull'alluminio fu una breve prova a giugno 1975 su un nostro
1300 con canne in lega 390. Ottima durata, ottimi consumi dì olio, ma basta
così; l'esame dei costi e problemi di attrezzatura e lavorazione fanno dire
di no alla nostra proposta.
La Mercedes presentò a Francoforte nel 1977 il suo nuovo motore 8 cilindri
5 litri con basamento in lega leggera, integrale con le canne; nel 1985, la
stessa soluzione anche per un 8 cilindri 3,8 litri. La Porsche, nel marzo
1977, presentò a Ginevra la 928 con l'8 cilindri con soluzione analoga.
Nel 1981, la stessa soluzione di basamento integrale in alluminio, venne
adottata per il nuovo motore 944 a 4 cilindri con alberini controrotanti;
idem nel 1986 per il 944S a due alberi a camme e per la nuova edizione
dell'8 cilindri 5 litri (928S4) con quattro assi a camme. Ultimo venuto il
12 cilindri BMW, roba di un mese fa, anche lui con la lega 390 per il
basamento integrale con le canne.
Non sono mai riuscito a spiegarmi come il motore della 152 sia riuscito ad
arrivare al banco prova, qualche giorno prima di Natale 1975; e non era
male: 108 CV, 15,2 Kgm con 1623 cc, per cominciare. E, ahimè, anche per
finire.
* * *
BIOGRAFIA DELL'AUTORE
Giuseppe Busso, nato a Torino nel 1913, consegue in quella città il diploma
di perito industriale.
Dopo il servizio militare, nel 1937 viene assunto alla Fiat come
calcolatore dell'Ufficio tecnico motori aviazione (UTMA), da dove più tardi
passa all'ufficio tecnico autoveicoli ferroviari sperimentali (UTAFS).
All'inizio di gennaio 1939, passa all'Alfa Romeo sempre come calcolatore, ma
svolge lavoro di particolarista per i progetti di vetture da corsa. Dipende
direttamente dall'ing. Orazio Satta Pulìga, col quale instaura
un'importante amicizia.
Dal 1939 al 1946, lavora al Servizio studi speciali, che fa capo a Wifredo
Ricart e, con l'aiuto di Satta, che lo assiste fornendogli pubblicazioni e
dispense del Politecnico, completa la preparazione tecnica e teorica.
Diviene, a pieno titolo, progettista e si occupa particolarmente di
compressori e di turbine per motori d aviazione.
Indicato da Gioacchino Colombo, viene assunto come capo ufficio tecnico
della nascente Ferrari, all'inizio del giugno 1946. Posizione dalla quale si
dimetterà alla fine del 1947, passando le consegne ai subentrati Colombo e
Lampredi.
Richiamato da Satta, rientra all'Alfa Romeo nel gennaio 1948 e, da allora al
1977, ha avuto la responsabilità della progettazione della meccanica di
tutte le vetture prodotte al Portello e ad Arese: dalla 1900 e la Giulietta
degli anni Cinquanta sino all'Alfa 6 nelle versioni berlina e coupé con
motore a iniezione.
Svolge questo incarico per poco meno di trent'anni, raggiungendo nel tempo
le seguenti qualifiche ufficiali: caposervizio nel 1952, dirigente nel 1954,
vicedirettore nel 1966, direttore nel 1969, vicedirettore centrale nel 1972,
condirettore centrale nel 1973, carica che ha tenuto fino al 1977, anno del
suo congedo dall'Alfa Romeo.
Conferenza Aisa (numero 2) tenuta a Milano,
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia
8 ottobre 1987
[su http://www.aisastoryauto.it/ ]
+++++++++++++++++++++++++++
E' morto l'Ing. GIUSEPPE BUSSO!
Perdonatemi l'errore volontario del titolo, Giuseppe Busso, uno dei più
grandi progettisti dell'Alfa Romeo, un monolite per tutti gli Alfisti, non
ha mai conseguito la laurea, ma per noi sarà sempre il leggendario Ing.
Giuseppe Busso!
In questo momento non riesco a dire nulla di più se non . GRAZIE!
Questo l'ultimo evento a lui dedicato:
Nel cuore dell''Alfa - presentaz. libro di G. Busso
http://www.alfasport.net/forum/topic.asp?TOPIC_ID=1751
Questo il suo bellissimo libro:
Nel Cuore dell''Alfa
http://www.alfasport.net/forum/topic.asp?TOPIC_ID=1762
[su http://www.alfasport.net/news/news.asp?id=528 ]
E' morto Giuseppe Busso
Questa notte si è spento nel sonno l'Ingegner Giuseppe Busso, storico
progettista dell'Alfa Romeo e figura mitica per gli appassionati del
Biscione.
[su http://www.147virtualclub.it/index2.php ]
+++++++++++++++++++++++++++
GIUSEPPE BUSSO
ALFA ROMEO
DALLE TRAZIONI ANTERIORI DI SATTA ALLA 164
Sono qui per parlare degli studi di vetture con trazione anteriore,
iniziati in Alfa Romeo quarant'anni fa. Molti di quegli studi non andarono
oltre il tavolo da disegno, uno arrivò alla fase di vettura completa
marciante, di uno infine si realizzò il gruppo motore-cambio-differenziale
e si fecero delle prove al banco. Uno si salvò, ebbe gestazione, nascita,
infanzia e maturità regolari e conobbe un successo che dura tuttora: l'Alfa
Sud.
Ma l'ingegner Orazio Satta ed io non avemmo parte, nostro malgrado, nella
vicenda Alfasud e, pertanto, io non andrò al di là della doverosa citazione.
Ritengo che la storia dell'Alfasud sia già stata raccontata; una storia
indubbiamente interessante, probabilmente ricca anche di aspetti umani
singolari: quello di una macchina che in quattro anni viene progettata,
realizzata, messa a punto, mentre parallelamente nasce lo stabilimento che
la dovrà produrre in serie, costituisce un caso poco comune.
Se si dovesse tornare a parlarne, la cosa dovrebbe essere fatta da qualcuno
direttamente coinvolto.
Qualche cenno storico
Il titolo che è stato dato a questa conferenza mi sembra abbastanza chiaro
e se, malgrado tutto, siete qui stasera con noi, dovrebbe voler dire che
siete disposti, prima di arrivare a questa splendida realtà che e la 164, a
sentir parlare, lasciatemi citare il Gozzano della Cattiva Signorina, delle
"nostre rose non colte, ma non per questo meno amate".
Dovrò anche infliggervi, perché mi sembra indispensabile, qualche breve
notazione storica sulla trazione anteriore.
Sulla rivista tedesca Das Auto del dicembre 1981 compare un articolo a mio
parere molto interessante a firma Wolfgang Koenig, "50 Jahre Frontantrieb"
(50 anni di trazione anteriore).
Per l'autore tedesco, naturalmente, i 50 anni cominciano con il Salone
dell'Auto di Berlino del 1931, quando fu presentata la DKW F1, prima vettura
a trazione anteriore, dice il Koenig, prodotta in grande serie.
La DKW era allora - ed è sempre lui che parla - il più grande produttore
mondiale di motociclette. La piccola 2 posti avrebbe dovuto rappresentare
una possibile alternativa per chi fosse stufo delle 2 ruote.
Per la verità il fatto che questa piccolissima vettura (2 cilindri,
trasversali, 2 tempi, 15 CV) nel suo cambio a tre marce mancasse, come le
moto, della retromarcia, non può che dare verosimiglianza alla cosa;
costava anche poco, 1.685 Reichsmark.
Non so se tutti possono trovarsi d'accordo circa questo primato tedesco,
secondo il Koenig ci sarebbe stato un precedente, niente più che un
prototipo, nel 1897 a Vienna, della Casa Graf.
Ma se non se ne fa una questione di soli grandi quantitativi, non si può
ignorare, per esempio, l'enorme lavoro di ricerca svolto in USA sulle
trazioni anteriori, a partire dai primi anni del secolo, lavoro che trovò
spesso sbocco in modelli riprodotti in quantitativi che non meritano di
essere trascurati.
Come non citare nomi come John Walter Christie, Barney Oldfield, Harry
Miller, Cord, Ruxton. Anche Francia e Inghilterra non scherzano; ma non è
questa la sede per parlare di tutti gli ascendenti, grandi e piccoli; mi
limiterò a citare due pietre miliari, Citroen 7 CV, 1934, e Austin Mini,
1959.
Ma il più illustre progenitore, circondato dal fascino dell'era e del dove
vide la luce è il Fardier di Cugnot, trazione anteriore a vapore 2 cilindri
trasversali comparso alle soglie del grande diluvio, che trovò in Luigi XV
un facile profeta. Sono gli anni intorno al 1770. Sapete bene che al Museo
dell'Automobile di Torino ne è esposta una riproduzione.
Il Koenig chiude il suo bell'articolo citando un curioso episodio: a quel
Salone di Berlino un ingegnere tedesco, che ovviamente non concordava sulla
nuova via indicata dalla DKW, così si esprimeva: "Gott, der Herr, in seiner
unendlichen Weisheit, hat die schnellsten Tiere,wie zum Beispiel die Hasen,
nicht umsonst mìt Hinterbeinen zur Fortbewegung ausgestattet". Tradotto e
semplificato: il Signore Iddio, nella sua infinita saggezza, avrà pur avuto
qualche buona ragione per dotare alcune fra le sue creature più veloci,
come ad esempio le lepri, della propulsione posteriore.
Suppongo che il Signore nella sua infinita saggezza, non avrà risparmiato
all'ingegnere tedesco una severa reprimenda per la sua imprudente
dichiarazione, e lo avrà invitato a occuparsi di cose più strettamente sue.
Croci e delizie
La strada della trazione anteriore non fu cosparsa di rose. E' stato
necessario affrontare e risolvere moltissimi problemi per beneficiare del
fondamentale vantaggio di avere anche motrici le ruote anteriori sterzanti
accrescendo così la controllabilità della vettura, specie in condizioni di
scarsa aderenza, e per sfruttare al massimo gli altri grandi vantaggi della
concentrazione in un unico gruppo compatto, complessivamente più leggero e,
alla fine, anche meno costoso, di tutta la parte motrice.
Non va poi dimenticato il grande interesse del carrozziere per una soluzione
che gli dà totale libertà nel gestore al meglio il volume riservato ai
passeggeri e ai bagagli.
Per molto tempo, si è ripetuto fino alla noia che nella Mini la parte
meccanica si appropriava solamente il 20 % del volume totale della vettura,
lasciando il restante 80% alla parte abitativa.
La soluzione dei molti problemi venne facilitata e resa meno costosa dal
fatto che a beneficiarne furono spesso anche le vetture a trazione
posteriore.
Per ricordare i principali e più distanti nel tempo citerò:
· i giunti di trasmissione a velocità costante (omocinetici) prima sulle
sole ruote e poi, dotati anche di capacità di scorrimento, anche all'uscita
dal differenziale,
· la regolazione dì frenata anteriore posteriore (non siamo ancora
all'ABS),
· i miglioramenti nelle mescole della gomma, nella struttura e nel
disegno del battistrada per i pneumatici,
· il servosterzo,
e, tra i più recenti:
· il controllo dello slittamento delle ruote in frenata (l'ABS)
e fra quelli di un futuro già alle porte:
· lo stesso controllo dello slittamento, ma in accelerata (l'ASR,
Antischlupfregelung).
Tutti questi miglioramenti hanno favorito l'estensione della trazione
anteriore a vetture di taglia sempre più grande o comunque con elevato
rapporto potenza-peso.
Penso che la vettura Alfa Romeo di cui tutto il mondo parla in questi giorni
e la piccola DKW del 1931 possono essere considerati due estremi
significativi, almeno per il momento.
Fino a 20-25 anni fa, non era difficile imbattersi in trazioni anteriori con
forti vibrazioni e rumorosità in tiro e in rilascio, altre con forti
differenze di durezza di sterzo a seconda che si andasse in salita o in
discesa, altre ancora che diventavano difficilmente controllabili sotto
frenata specialmente in discesa, altre con violenti ritorni del volante
all'uscita dalle curve, ritorni che per essere caratterizzati talvolta da
forti oscillazioni intorno al punto neutro rendevano problematico e
rischioso l'intervento del guidatore per fermarlo al momento giusto.
Ma il difetto che era forse al più comune a molte delle trazioni anteriori
era la pericolosa differenza di comportamento sul misto fra marcia in tiro
e marcia in rilascio Molte vetture, sottosterzanti sotto tiro, diventavano
di colpo sovrasterzantì quando si toglieva il piede dall'acceleratore, con i
problemi che è facile immaginare per il guidatore meno esperto o
momentaneamente meno attento.
Ma già alla fine degli anni 60 era finalmente possibile trovare delle
vetture a trazione anteriore con tenuta di strada entusiasmante; quella che
a suo tempo mi impressionò di più fu il coupè Audi 100, che per me aveva
solo il difetto di essere larga e squadrata come un armadio.
Il Koenig di Das Auto ricordava come già nel 1981 due auto su tre avessero
la trazione anteriore e prevedeva che verso la fine del secolo saremmo
arrivati al 90%. Basti pensare alla recente, massiccia "conversione" dei
colossi USA.
Il mio primo studio dì trazione anteriore:
Ferrari 6 cil. da 750 cm
La storia della trazione anteriore all'Alfa Romeo non è che un capitolo di
una storia più vasta che alterna fasi tristi e liete; per Satta e per me
questa della trazione anteriore è, purtroppo, una storia, come ho detto
all'inizio, soprattutto di cose che potevano essere e non sono state; ma
queste non furono le nostre uniche, come ben sapete. Molte di più quelle che
sono state e che rimangono, anche se non si tratta di trazioni anteriori.
Ma certo non mi fa dispiacere, come non l'avrebbe fatto a lui, assistere
oggi, anche se non più da protagonisti, a qualcosa che va nel senso che lui
ed io avevamo invano auspicato; finalmente una trazione anteriore Alfa
Romeo con motore trasversale, e con dentro fra le varie motorizzazioni, il
nostro ultimo motore, il 6 V di 60°.
La "mia" storia della trazione anteriore non comincia a Milano all'Alfa
Romeo, ma a Maranello da Ferrari: così, per me, i tentativi ai quali la
sorte ha detto di no non sono stati quattro come per Satta, ma cinque.
Maranello, novembre 1946: ho lasciato l'Alfa da cinque mesi e sono immerso
fino ai capelli nei problemi di costruzione dei prototipi della 125, della
cura delle sue malattie d'infanzia e nel progetto di un motore
sovralimentato; durante una delle memorabili strillate dal Peppo con
noialtri pezzi grossi della Scuderia, alle quali Enzo Ferrari ci ha
abituati, il Capo mi lascia capire che non gli spiacerebbe mettere in
cantiere anche una vettura più piccola, che della 125 utilizzi tutto quello
che si può.
E io mi butto senza indugio; per me non può che essere una trazione
anteriore. Nella proposta che preparerò per il Commendatore metterò in
rilievo come quell'anno al Salone di Parigi siano comparse in gran numero
le "traction" nuove accanto ad altre già conosciute.
Oltre alla Citroen 4 cilindri da 1911 cc, si sono viste la 2 cilindri
Grégoire da 594 cc, la Panhard 2 cilindri da 610 cc, la Mathis 2 cilindri da
707 cc, la Bernardet 4 cilindri da 800 cc, la Skoda 2 cilindri da 615 cc, la
Georges Irat 4 cilindri da 1100 cc, la Claveau 8 cilindri 2300 cc, la Super
Trahuit B 3 cilindri da 3900 cc e la Kaiser 6 cilindri da 3050 cc.
Io propongo per la piccola "traction Ferrari l'uso di una delle due teste
della 125, stessa distribuzione, stesse bielle e pistoni; motore
longitudinale, cambio sotto il carter motore, freni sul gruppo
motore-cambio, guida a cremagliera. Con un passo di 2150 mm e carreggiate
sui 1200 mm dovrebbe venirne fuori una vetturetta sui 3,6 metri, con un peso
di 550-600 kg.
La cilindrata sarà inizialmente sui 750 cc, ma nulla vieterà in seguito di
arrivare anche al litro. Con il 750 è ipotizzabile una potenza dì una
quarantina di CV nella versione base, con una velocità sui 130-140 Km/h.
Ferrari non mi disse subito di no e io buttai giù uno studio a grandi linee
di tutta la meccanica, sospensioni comprese, s'intende.
Ma non passò molto tempo che, parlandone con il grande Saggio, il cavalier
Bazzi, venni a sapere che Ferrari non era entusiasta dell'idea della
trazione anteriore e che se una vettura piccola si fosse dovuta costruire
sarebbe stata quasi certamente una trazione convenzionale. Mi ostinai
testardamente a sviluppare la mia idea alla quale, ovviamente, non potevo
dedicare che le ore dei dopocena e delle domeniche e ne venne fuori un bel
pacco di disegni e di calcoli.
Con l'avanzare del 1947, arrivarono i dispiaceri che mi fecero accogliere
l'invito di Satta a tornare con lui come una liberazione; quando feci
fagotto per tornare a Milano raccolsi i miei inutili studi e li consegnai a
Bazzi, sperando cosi almeno di ritardare il momento in cui sarebbero finiti
nel cestino. Se poi siano stati veramente cestinati, se siano finiti nel
museo degli orrori di Ferrari o se comunque siano arrivati fino a oggi non
so; certo è che se ci fossero ancora mi sarebbe assai caro rivederli e
farveli vedere. Non sfigurerebbero come curiosità in questa chiaccherata.
Ai primi del '48 ero dì nuovo all'Alfa, pronto per cominciare a torturare
anche Satta con il mio pallino della trazione anteriore.
La 1900 e la Giulietta trazioni anteriori mancate
All'inizio del 1948, l'interesse della Direzione Alfa Romeo era orientato
verso una vettura di grossa taglia, destinata nel tempo a prendere il posto,
con costi minori, anche della 6C 2500.
Per questa grossa vettura, piuttosto rozza nella meccanica, si lavorò a
lungo, addirittura anni, ma alla fine per fortuna l'idea, cosi com'era,
venne archiviata.
L'ing. Satta ed io eravamo per una vettura della taglia della Gazzella, di
Wifredo Ricart, bocciata nel 1945, ma più semplice e moderna e che
soprattutto si avvalesse, tutte le volte che possibile, di componenti di
grande serie forniti, a prezzi di mercato, da Case specializzate,
possibilmente Aziende del Gruppo.
Inutile dire che la vettura di cui io stesso abbozzai, verso la fine di
febbraio, il gruppo motore-cambio-differenziale era una trazione anteriore;
inutile dire anche che lo schema di quel gruppo non differiva gran che dal
mio irrealizzato sogno di Maranello; e sogno sarebbe rimasto purtroppo
anche questo.
Per parecchi mesi, solo Satta ed io cercammo di spingere questo progetto;
alla fine di ottobre ci giunse l'aiuto di quello che io allora conoscevo
solo come l'ing. Alessio della Finmec, il quale concordava sulla trazione
anteriore, ma aveva delle preferenze, non condivise nè da Satta nè da me,
per un 4 cilindri piatto. E' probabile che il primo pezzo grosso che in
Alfa pensò ai 4 cilindri contrapposti per una vettura da turismo sia
proprio stato lui, Alessio.
Dapprincipio furono soltanto delle garbate pressioni in pro di questa
soluzione; ma quando si accorse di qualche tergiversazione da parte nostra,
l'ing. Alessio mise da parte il fair play e chiese perentoriamente uno
studio del "suo" motore.
In poco più di una settimana, il più promettente elemento della nouvelle
vague di progettisti, Edo Masoni, mise insieme uno studio di massima;
ancora recentemente mi rammentava che glielo feci fare alla Scuola dove si
ripeté, con lo stesso ingenuo apparato di sicurezza, la vicenda che nel
novembre 1945 aveva portato me a disegnare, per far contento quella volta
l'Ing. Gallo, un motore con distribuzione a foderi.
La cilindrata del nuovo motore doveva essere sui 1750 cc. Io preparai una
descrizione delle due soluzioni, 4 in linea e 4 piatto, sempre trazione
anteriore. Ai primi di gennaio 1949, l'ing. Satta venne spedito a Roma ad
illustrare il tutto al supremo consesso; purtroppo fece ritorno con un
categorico no alla trazione anteriore da parte del vertice e con la
richiesta urgente di un 6 cilindri, trazione convenzionale, sui 2 litri.
Rammento che Satta si prese una girata da Alessio per non avere almeno
difeso il 4 cilindri.
Comunque, l'influenza di Alessio andava crescendo e sarebbe culminata in
ottobre con la nomina a Direttore Generale; l'idea del 6 venne lasciata
morire e lui non insistette oltre con il 4 piatto. La vettura nuova
sarebbe stata la 1900, ma niente trazione anteriore; e per un pò di
trazione anteriore in Alfa non si sarebbe più parlato.
Per la verità, se si pensa che al progetto della 1900 si cominciò a lavorare
di impegno soltanto dopo il rientro di Satta da Roma (gennaio 1949), che il
primo motore, ancora con basamento in alluminio, cominciò a girare un anno
dopo, che la prima uscita in strada ebbe luogo il 2 marzo 1950, con Sanesi,
Garcea, Nicolis e me (ricordo ancora il "100 giorni come questo" rivoltomi
da Garcea), e che la vettura venne presentata alla stampa il 2 ottobre 1950,
bisogna dire che non ci sarebbe stato spazio per una trazione anteriore
negli stessi tempi; poco più di un anno e mezzo. Ma non per nulla Ferrari,
nel suo 'Ferrari 80" mi dà dell'ostinato.
Seguirono due anni di grossi dispiaceri per Satta, per Garcea e per me; chi
volesse saperne di più farebbe bene a dare un'occhiata al bel libro di Tito
Anselmi sulla Giulietta.
In sostanza, Satta rischiò di dover lasciare il suo posto, Garcea dovette
farlo per davvero e io non ripetei da Milano la fuga che avevo fatta da
Maranello (stavolta la destinazione sarebbe stata ovviamente Torino) solo
perché mi venne buttato da rosicchiare un meraviglioso osso, il progetto e
la messa a punto della Matta.
Gioachino Colombo lasciò l'Alfa Romeo a settembre 1952; Garcea era stato
rimesso al suo posto già alla fine di luglio; e fin dalla metà di marzo, per
volere di Satta, io avevo avviato in un reparto riservato lo studio di una
nuova piccola vettura (a trazione anteriore, s'intende, se no perché sarei
"ostinato"?) e quello di una nuova vettura da corsa a 4 ruote motrici, la
160.
Mi è stato recentemente concesso di scavare nel vecchio archivio disegni
dell'Alfa Romeo; quello che è saltato fuori meriterebbe da solo un libro, in
cui le illustrazioni si conterebbero a centinaia e dove le vicende degli
uomini che sono legati a quei disegni sarebbero forse più avvincenti della
storia puramente tecnica.
Purtroppo, non è saltato fuori nulla che riguardi le nostre grandi manovre
sulle trazioni anteriori che precedettero la 1900; in compenso è venuta
alla luce una chicca: uno dei numerosi studi, ma solo uno, di trazione
anteriore, fatti fare da me nel 1952 nel famoso reparto top secret.
Si tratta di un motore a 2 cilindri in linea, trasversale. Si badi bene
alla data, 3 giugno 1952. Lo studio è di Mario Colucci, il bravo progettista
che poi Abarth mi portò via nel 1959.
L'originale dello studio di questa "vettura 1361, prima soluzione" è in
condizioni disastrose. Dopo aver invano tentato di fare delle copie, l'ho
lucidato io stesso, reinventandone una larga parte perché alcuni punti sono
completamente distrutti; cinquant'anni fa, quando ero calcolatore alla
Fiat, la sera a casa, per integrare il non ricco stipendio lucidavo come
tanti altri i disegnini delle descrizioni dì brevetto per l'organizzazione
Jacobacci.
Per completare il maquillage del disegno rifatto, un giorno di maggio 1986,
un incaricato del Centro Tecnico prese originale e nuovo lucido e andò a
Torino da Mario Colucci, che fu ben lieto di riscrivere di suo pugno,
firmandola, la vecchia dicitura. Il risultato di questa operazione lo vedete
nella fotografia. L'originale, o almeno quella specie di Sindone che ne è
rimasto, è custodito negli archivi del Centro Tecnico di Arese.
Come già dissi, lo studio di Colucci si riferisce solo ad una delle
soluzioni esaminate. A vero dire le idee, in alto loco, erano parecchie ma
in compenso molto confuse.
In un primo contatto con l'ing. Quaroni, che era succeduto ad Alessio, si
era parlato di una cilindrata sugli 800 cc. L'ing. Gallo, presidente,
spingeva invece per una 350 cc.
Iniziammo, senza troppa convinzione, vari studi per tradurre in grafico i
desideri delle varie persone che contavano, cercando di portarle verso
cilindrate meno misere, sui 900 cc: questo avveniva in aprile 1952. Il
12 maggio, vi fu una riunione di tre grossi personaggi, Gallo, Quaronì e
Luraghi, e ne usci la richiesta di una vettura piccolissima: si parlò
addirittura di motore a 2 tempi. Prevalse, alla fine, una certa
ragionevolezza e sì decise di partire con 600 cc quattro tempi. Una delle
soluzioni prese in esame è appunto quella schizzata da Colucci.
Si trattava, come ho già detto, di un 2 cilindri in linea trasversale,
raffreddato ad aria, blocco unico motore-cambio-differenziale-freni
sospensione anteriore con una balestra trasversale superiormente e con in
basso i soliti triangoli, guida a cremagliera. Sospensione posteriore a
balestre con un tubo rigido collegante le ruote.
A quell'epoca, non si parlava ancora di giunti omocinetici, Rzeppa o
similari, o di tripodi, e infatti è ben visibile il doppio cardano "alla
Citroen" sulle ruote; all'interno un cardano semplice, purtroppo, fungente
anche da scorrevole.
L'abbozzo di linea della carrozzeria non vuole avere un significato preciso;
credo che anche i carrozzieri a quell'epoca siano diventati matti con decine
di studi per andare dietro alle varie, raramente convergenti idee dei
bigs.Pian piano, gli estremismi si attenuarono ancora, e cominciò a farsi
strada l'idea di un 750 cc raffreddato ad acqua, sempre trazione anteriore;
ma non è venuto fuori nessun disegno al riguardo e non ricordo se fosse
ancora un motore trasversale o una versione aggiornata dello studio
ante-1900 del 1948.
E qui suonò la solita, ben conosciuta emergenza: non c'è tempo per le
novità, niente trazione anteriore. A spegnere i nostri entusiasmi era questa
volta, guardate un po', l'ing. Rudolf Hruska, consulente generale dell'Alfa
Romeo da metà 1952.
Dei nostri ultimi studi sulla trazione anteriore rimaneva soltanto il
numero che avrebbe contraddistinto il nuovo progetto, 750. Alla fine di
agosto 1952 iniziammo lo studio di una vettura convenzionale da 1000/1100
cc, che sui disegni continuò a chiamarsi 750 anche quando, cresciuta a 1300
cc venne ribattezzata, alla presentazione a Milano e a Torino, meno di due
anni dopo, Giulietta.
Facendo un po' di conti sui tempi è lecito pensare che, anche se avessimo
dovuto impiegare quattro anni a mettere insieme una trazione anteriore,
invece dei meno di due ai quali eravamo avvezzi, saremmo arrivati a
presentarla al massimo nel 1956, forse con un motore trasversale, 3 anni
prima della Mini.
Ma la storia non si fa con i verbi ai condizionale, con i se, i ma e i
forse; l'amara realtà era, ancora una volta, niente trazione anteriore.
Peccato.
La 103, la vettura esposta al Museo
Malgrado sia l'unica trazione anteriore Alfa Nord che sia scesa in strada e
di cui il Museo custodisca un esemplare, è forse la vettura di cui è più
difficile raccontare la storia.
Ebbe una gestazione estremamente lunga; da quando si cominciò a parlarne,
1954, a quando il prototipo cominciò a circolare (seconda metà del 1962)
all'Alfa si succedettero tre Presidenti e tre o quattro Amministratori
Delegati e Direttori Generali. In quegli anni, venne completata, con la
berlina e con lo spider, la prima gamma Giulietta, seguirono poi le varie
edizioni con più carburatori, le cilindrate maggiori, sempre Giulietta;
arrivarono la SS, la SZ, la Giulia; nella fascia più grande comparvero le
2000, berlina coupé e spider, e poi le edizioni con il 6 cilindri 2600;
infine a ottobre 1962, a Torino sarebbe comparsa la TZ.
La storia della 103 cominciò cosi: verso la fine di aprile 1954, al Salone
di Torino dove erano stati presentati la Giulietta Sprint e il Romeo, l'ing.
Hruska mi informò dell'intenzione della Finmeccanica di mettere in cantiere
una microvettura. Disse proprio così, microvettura.
Erano ancora caldi i precedenti studi di cui ho appena parlato; subito
dissotterrata l'ascia di guerra, ripresero le esercitazioni intorno alle
soluzioni più varie (forse sarebbe meglio dire più pazze).
Già ai primi di dicembre un gruppo di big con a capo il dr. Luraghi e con
dietro Quaroni, Cattaneo, Alloisio e Hruska venne a trovarci per prendere
visione dei nostri studi; qualcuno (chi sarà stato?) ebbe il discutibile
gusto di battezzare Pidocchio la futura vettura, forse perché ciascuno
aveva in testa un'immagine diversa.
A marzo 1955, la Fiat presentò la 600. Da allora, io presi a sostenere che
la nostra vettura avrebbe dovuto essere qualcosa di più, e non di meno,
della nuova Fiat, ma soltanto molti mesi più tardi, in una riunione da
Quaronì con Hruska, Satta, Alloisio e Ponte di Pino, venne finalmente
concesso, come tema, 110 km/h, meno di 600 kg, 620.000 lire.
Il tempo passava; al principio del 1957, le idee cominciarono a coagularsi
intorno a una soluzione di circa 900 cc, raffreddamento ad aria, trazione
anteriore (naturalmente) e si cominciò addirittura con l'esaminare uno
schema con 4 cilindri contrapposti.
Ma l'interesse per il raffreddamento ad aria ebbe vita breve. Il 4
cilindri piatto, disposto come nell'Alfasud, diventava troppo lungo, oltre
che per le alette di raffreddamento anche per la presenza della soffiante e
si tornò a parlare di motore trasversale, raffreddato ad acqua, e, come
stavolta era fatale, di due assi a camme in testa.
I primi disegni, se così si può dire, seri, portano la data del gennaio
1958, e configurano già con una certa approssimazione, la vettura che è
esposta al Museo.
In febbraio1958, l'ing. Hruska pose come termine invalicabile la fine
dell'anno
per la consegna di tutti i disegni; inizio della produzione indicativamente
dopo le ferie del 1961.
Ricordo che Satta, quanto a produzione, era molto scettico, poco convinto
che i finanziamenti per le attrezzature fossero disponibili per tempo;
considerando poi le difficoltà che già incontravamo per fare abbastanza
Giuliette era, secondo lui, un'illusione la seconda metà del 1961 per la
nuova vettura.
Purtroppo, alla fine di marzo1958 Hruska si dimise; mantenne ancora qualche
contratto part-time con noi. Ma un'incrinatura nei programmi evidentemente
non si sarebbe potuta evitare. In ottobre si seppe del programma di
montaggio da noi della Dauphine, il che non poteva che far crescere il
pessimismo di Satta.
Hruska rientrò ai primi di marzo 1959 ma per rimanere meno di un anno.
Negli stessi primi giorni di marzo, l'ing. Quaroni, riunitici in Direzione,
si congedava da noi. Chi abbia conosciuto quest'uomo, sanguigno, irruente,
ma capace di tanta amicizia, potrà forse comprendere l'emozione di vederlo
salutarci con le lacrime agli occhi.
Quaroni era un direttore capace di mettere una persona a terra con una
critica fulminante, da farle rimpiangere di essere nata, salvo poi darle
una mano per rialzarsi e farle capire che, dopo tutto, essere nato non era
poi tanto male.
Fra i miei ricordi meno malinconici rivedo spesso il quadro della cena a
Neckarsulm, alla fine del 1957 con i pezzi grossi della NSU, che ci aveva
invitati a veder girare il loro motore rotativo.
Quaroni che racconta le sue terribili barzellette, adatte, come si dice
oggi in televisione, a un pubblico adulto e Hruska che le traduce nella
lingua di Goethe per gli ospiti; risultato, sghignazzate e urla da far
crollare le mura e accorrere la polizia.
Quaroni aveva introdotto una simpatica consuetudine, che i suoi successori
non raccolsero: la vigilia di Natale percorreva a passo da bersagliere gli
uffici tecnici e faceva gli auguri e stringeva la mano a tutti, da Satta
alle donne delle pulizie, se c'erano anche loro. A noi era stato detto di
non mollare con lo studio della trazione anteriore da 850 cc; non
era necessario, nessuno di noi pensava a mollare.
Ma ci mordemmo i pugni quando alla fine di agosto 1959 comparve su
Automobil Revue la descrizione della Austin 850 a trazione anteriore con
motore trasversale di Issigonis. Riandando ai nostri poveri studi del 1952
avremmo voluto prendercela con qualcuno, ma non sapevamo con chi.
A ottobre, Hruska se ne andò per la seconda volta; lo avremmo rivisto
soltanto nel 1967; ma i bei tempi della intensa, felice collaborazione per
la Giulietta e per tanti altri studi erano finiti.
Nel 1967, Hruska aveva dinanzi a sé la grande impresa dell'Alfasud: le idee
su se e come fare la trazione anteriore si erano finalmente chiarite. Ma
per Satta e per me ci sarebbe stata solamente la panchina. Comunque,
tornando al 1959, la vettura malgrado tutto stava pian piano prendendo
forma, come meccanica e come carrozzeria.
Il nuovo amministratore delegato, dottor Mangano, aveva confermato una
cilindrata sugli 850 cc; il nuovo progetto sì chiamava ormai Progetto V, la
gente non si grattava più in testa quando se ne parlava.
Il motore parti con un alesaggio di 66 mm e corsa 65,5 mm, cioè 896 cc. Dopo
vari studi, definimmo per le ruote anteriori una sospensione classica a
quadrilateri; per far posto ai semiassi, il gruppo molla ad
elica-ammortizzatore, coassiali, venne posto sopra la leva superiore.
Posteriormente decidemmo, per tenere conto della grande variazione di carico
fra vettura vuota e a carico massimo, di fare una sospensione regolabile in
altezza.
La sperimentazione e la valutazione costo/beneficio sarebbero poi state
incaricate di dirci se per una vettura di quella fascia la regolazione di
livello era o no opportuna.
La cinematica posteriore non era molto banale, un braccio longitudinale e
uno trasversale attraversante tutta la vettura, per ogni ruota; gruppo
molla-ammortizzatore, coassiali, dietro ogni ruota. Regolabile era
l'appoggio superiore della molla, mediante una coppia vite senza fine-ruota
elicoidale; le viti erano comandate tramite alberini flessibili come quelli
dei contachilometri, da un unico motorino elettrico posto nella
bagagliera.
Avremmo scoperto con un po' di malinconia una sospensione posteriore
analoga alla nostra, ma senza regolazione e con balestre invece che con
molle ad elica, sulla Honda 1300 del 1968.
Quanto alla regolazione con l'appoggio superiore della molla ad elica mobile
lungo l'asse molla-ammortizzatore, ne avremmo visto un esempio sulla Rolls
Royce Silver Shadow del 1965: su questa vettura lo spostamento
dell'appoggio superiore era eseguito tramite un pistone idraulico
utilizzando probabilmente l'olio in pressione del servosterzo.
Non vorrei tediare quelli fra voi meno ghiotti di particolari tecnici, ma
non si può tacere della testa in due pezzi, facilmente fondibili in
conchiglia, del comando dei due alberi a camme con una sola riduzione per il
quale era stato deciso di sperimentare sia la cinghia che la catena, dello
speciale comando del ventilatore e dei giunti omocinetici. Questi due ultimi
argomenti meritano qualche parola in pìu.
Non erano ancora disponibili i comodi ventilatori elettrici odierni; noi
avevamo un alberino passante attraverso l'albero primario del cambio,
collegato permanentemente da un lato all'albero motore e dall'altro a una
puleggia che spuntava fuori dal cambio.
Questa puleggia comandava il ventilatore, che aveva l'asse a 90°, mediante
una sottile cinghia con parecchie piccole scanalature trapezoidali
all'interno, quelle che già allora si chiamavano Poly-V, analoga a quella
dei recenti motori Mercedes e della stessa 164. Per arrivare al
ventilatore, la cinghia passava sopra due puleggie, una folle e l'altra
comandante la dinamo, le quali davano alla cinghia stessa la deviazione di
90.
Anche se sui motori esposti al Museo non figura, era previsto un innesto
elettrico del ventilatore, azionato in funzione della temperatura
dell'acqua,
come si fa oggi. L'intero gruppo era stato da noi sviluppato con la
Peugeot; io stesso feci parecchie puntate alla Casa francese nel 1960, per
trattare l'argomento.
La Peugeot presentò a Parigi nel 1965 la sua prima trazione anteriore con
motore trasversale, la 204, con un sistema di questo genere per il comando
del ventilatore. Il solo staccaventilatore elettrico, se non erro, era
stato però applicato ai tipi 203 e 403 già nel 1955.
Un punto importante è quello dei giunti omocinetici dei semiassi. Che
dovessero essere tutti omocinetici era stato fissato in partenza. A quel
tempo, non era ancora disponibile un giunto omocinetico a sfere del tipo
Rzeppa o similare che fosse dotato anche di scorrimento assiale; cominciava
invece a farsi notare il tripode della Glaenzer Spicer francese.
Noi prevedemmo la sperimentazione di tutte e due le soluzioni; per il primo
tipo dovemmo naturalmente provvedere noi a interporre uno scorrevole.
Ammaestrati da precedenti esperienze (3000 CM) su semiassi per ponti
posteriori, che ci avevano condotti ad usare dentature scorrevoli su grandi
diametri per ridurre le spinte assiali sotto coppia, che disturbavano le
sospensioni, realizzammo uno scorrevole con teste sferiche abbastanza
distanti piuttosto costoso, sperando che fosse solo una soluzione
provvisoria in attesa di uno Rzeppa scorrevole o di un tripode.
Gli omocinetici scorrevoli hanno segnato una tappa importante, almeno per
le vetture, sia per trazioni anteriori che posteriori.
I freni, naturalmente, erano a disco gli anteriori, a tamburo i posteriori.
Non vi sono altri particolari tecnici di cui valga la pena parlare, e sarà
forse meglio andare alla conclusione, triste come al solito.
Ai primi di gennaio 1962, quando il motore di quella che invece di Progetto
V era ora contraddistinta dal numero 103 non aveva neppure dato il primo
vagito, Satta mi disse che in Direzione c'erano dei ripensamenti, che la
taglia della 103 era ritenuta troppo piccola, che si voleva una 1300, e che
si era pronti a rinforzare la consistenza dell'ufficio tecnico per arrivare
al più presto alla nuova 1300 a trazione anteriore.
Il motore della 103 cominciò a girare il 28 febbraio del 1962, dando 49 CV.
La vettura prese a muoversi 18 agosto; risultò pesare 720 Kg, faceva 139
km/h e il Km da fermo in 41,2". Io riuscii a guidarla in una breve uscita
in settembre, e ricordo che aveva uno sterzo terribilmente duro. Aveva
bisogno, poverina, di una bella messa a punto, ma la messa a punto non
venne mai neppure iniziata.
Arrivati qui con il racconto bisognerebbe schiacciare il tasto
"Dissolvenza', meglio ancora se "Pietosa dissolvenza"
Se può interessare, posso aggiungere che gli studi della nuova 1300 furono
subito avviati, con quale entusiasmo si può ben immaginare, soprattutto se
si tiene conto che non passò molto tempo e si cominciò a cianciare di
motore piatto anteriore, di motore piatto posteriore, di una eventuale R8
con motore Alfa, per poi finire a riparlare di una 1300 convenzionale, anche
se aggiornata ai tempi.
Se i miei ricordi non mi tradiscono, ad abbozzare la forma della nuova
vettura, la 10301, fu interessato per breve tempo anche Bertone. E poi
tutto fini in nulla come era già accaduto molte, troppe volte
L'idea che la prossima volta il progetto di una trazione anteriore venisse
affidato ad altri che non a noi ovviamente non poteva piacermi, anche se noi
a quell'epoca eravamo immersi fino al collo nell'operazione Alfetta.
Ma chi ne fu maggiormente amareggiato e non riuscì mai a mandare giù il
boccone fu Satta. Al punto che, in piena produzione Alfasud ancora sperava,
e si raccomandava a me perché non mollassi, che ci fosse tuttora spazio per
una trazione anteriore "nostra". Ma le ultime volte che questo accadde,
eravamo nei primi mesi del 1974, non lo incontravo più in ufficio al
Portello o ad Arese, ma in una stanza di ospedale.
Io andavo spesso a trovare l'ing. Hruska al n 25 di viale Teodorico, dove
aveva l'ufficio e dove lavoravano anche i suoi progettisti; non dovette
faticare molto per convincermi che l'unico modo di uscire dal groviglio di
idee poco chiare e dalle inevitabili complicazioni e modifiche ai programmi
lungo un incredibile arco di tempo, legate anche agli avvicendamenti negli
alti comandi milanesi e romani, era quello di partire, come era stato fatto,
dalla carta bianca, poche persone a decidere (praticamente, il dr. Luraghi
e lui) e di far presto. E fecero presto, e fecero, beati loro, quello che
volevano
Chissà se qualcuno ricorda ancora, come me, la conferenza stampa che il dr.
Luraghi tenne al Museo dell'Automobile di Torino ai primi di novembre 1971,
presentando la vettura.
Allora invidiai l'orgogliosa risposta di Luraghi a un giornalista, non
ricordo più chi, che gli chiedeva perché mai un certo particolare, meccanica
o carrozzeria dell'Alfasud, fosse stato fatto in quel modo; l'incauto si
ebbe una risposta pressapoco di questo tenore: "Vede, quando noi abbiamo
messo insieme questa macchina ci è parso che il particolare cui lei accenna
andasse fatto così come lo può vedere; se un giorno capitasse anche a lei
di dover fare un'automobile, veda di regolarsi come meglio crederà."
Mi capita ancora oggi di sorprendermi talvolta a ridacchiare fra me e me
pensando a cosa sarebbe successo se quel giorno il dr. Luraghi avesse usato,
per esprimere lo stesso concetto, i termini a dir poco maleducatì, ma tanto
pittoreschi, che a me e forse non a me soltanto, è capitato qualche volta di
adoperare in casi analoghi. Certo è che il putiferio e il divertimento,
anche se non per tutti, avrebbero sicuramente superato il livello della
serata di Neckarsulm, di tanti anni prima.
La 152
Nel dicembre 1966, l'ing. Satta mi informò che ad alto livello si parlava di
una vettura medio piccola che l'Alfa avrebbe dovuto produrre nel Sud.
Qualche mese più tardi, si seppe che per la realizzazione di quel progetto
era nata a Napoli la SICA, sotto la guida dell'Ing. Hruska. Anche a Milano
si parlava di una vettura nuova, una nuova Giulia; era il marzo 1967,
quando Satta sfogava spesso con me la sua amarezza per non essere stati noi
interessati al progetto della vettura del Sud. Per la nuova macchina ci
venne data libertà per tutta la meccanica salvo che per il motore, che
avrebbe continuato ad essere il vecchio buon 4 cilindri del 1954;
cilindrata sui 1800 cc.
La sospensione posteriore venne scelta nel corso di una memorabile seduta di
prove, nel giugno 1967, nella zona collinosa prossima al Passo della Futa.
Vennero poste a confronto due GTA con motore 8 cilindri e ciascuna con una
diversa sospensione posteriore indipendente, la 2000 Sportiva con il suo De
Dion; la bella addormentata dal colore dell'argento giaceva da oltre 10
anni nel deposito dal quale sarebbe poi nato il Museo.
Venne ripescata, messa a punto e munita di una gommatura aggiornata; e
nelle rudi prove sulle strade fra Pian del Voglio e Firenzuola ebbe la
meglio l'arzilla vecchietta, a giudizio unanime di Sanesi, dell'ing. Fanti
delle Esperienze e mio.
Sono sicuro che Sanesi non fu influenzato in quella occasione dal ricordo
della Mille Miglia 1953. quando con una 3500 munita di una identica
sospensione posteriore si era permesso, prima di ritirarsi per un guasto al
telaio, di arrivare a Pescara in testa alla corsa precedendo di 5 minuti la
prima Ferrari, la 4500 di Farina. Certo però che, quel giorno, il pensiero
di tutti noi andò alle vicende di quegli anni lontani, ad altre rose non
colte o colte male.
Si parti così con il De Dion, aggiungendo il cambio in blocco con il
differenziale; la nuova vettura si chiamava 116, la futura Alfetta, futura
nuova Giulietta, futura Alfa 90 futura Alfa 75.
Quello stesso giorno, il 21 giugno 1967, cominciava a girare al banco uno
strano motore, il 108. Satta era stato criticato perché Busso era soltanto
capace di progettargli dei motori con due assi a camme in testa; la cosa mi
fece arrabbiare parecchio, e così accadde che poco dopo arrivarono in
officina i disegni di un motore un po' matto per avere il comando della
distribuzione con cinghia sistemata nella parte posteriore del motore, a
ridosso del volano.
La parte di maggiore rilievo però era la testa, ancora a calotta sferica,
con valvole a V stretto; un solo asse a camme comandava direttamente le
valvole di aspirazione nel modo solito e quelle di scarico attraverso un
bicchierino trasversale, una breve punteria e un bilanciere. A farla breve,
era il disegno di testa che sarebbe poi stata usata per il 6 cilindri a V.
Le prime prove di iniezione elettronica furono appunto fatte dalla Bosch a
Parigi su questo motore, in attesa che arrivasse, nel 1971,. il 6 cilindri.
Questo 4 cilindri esiste ancora; sono arrivato appena in tempo a salvarlo
dalle grinfie del rottamat, insieme con il prototipo del gruppo motore
cambio 152.
Quando a Monza si trattò di definire quale motore si sarebbe montato sulla
nuova Giulia in Direzione nessuno volle sentir parlare di nuove teste (il
108 era già in costruzione) e tutti si espressero, come ho già detto, per il
buon vecchio due assi a camme
Il prototipo della 116 mosse i primi passi nel luglio 1968, nei giorni in
cui cominciava a girare al banco il primo motore Alfasud; per la vettura di
Napoli i primi passi sarebbero arrivati alla fine di ottobre dello stesso
anno.
Alla fine del 1969 ebbe inizio un periodo burrascoso, destinato a durare
anni e a condizionare in senso non certo positivo il lavoro di tutti,
malgrado rari squarci di bonaccia; si tratta del lungo ciclo di scioperi
cattivi, con intimidazioni e violenze, di cui ancora nel 1973 vi era
traccia, se alcune riunioni della Direzione si tenevano tuttora per forza di
cose fuori dell'azienda.
Non è un bel ricordo per me la visione di Satta che rifiuta, a quelli che
gli hanno invaso l'ufficio, di andarsene e perfino di alzarsi dalla sua
poltrona, e viene portato fuori dall'ufficio a braccia, seduto in quella
poltrona; era il novembre 1970, il diciottesimo giorno.
L'Alfetta era stata presentata a Balocco al Presidente e agli altri "bigs"
dell'azienda a settembre 1970 e aveva trovato tutti entusiasti, ma un anno
più tardi, quando doveva partire la produzione, sia pure con cadenza
modesta, eravamo in un mare di guai, con la meccanica e con la scocca;
rotture, durate scarse, rumori, vibrazioni, cose da ammattire.
Satta mi disse che soltanto in altre due circostanze, quella dei guai del
diesel 2 tempi sul Romeo e quella di alcune rotture di elementi della scocca
delle vetture di qualche anno prima, aveva sentito così vicina la Rupe
Tarpea.
Malgrado ciò, rammento come in una riunione in Direzione per discutere dei
nostri terribili problemi, Satta esaltasse l'"animus" che ora pervadeva
tutti i suoi collaboratori delle Progettazioni ed Esperienze, tesi come
disperati a uscire dal pelago.
Per intanto, era comunque fuori luogo parlare di produzione e, alla famosa
conferenza stampa del novembre 1971 a Torino il Presidente non poté trattare
che di Alfasud, perché la 116 era ancora in alto mare.
Si parlava in quel tempo della possibilità che, tenendo conto della naturale
evoluzione della 116 verso dimensioni maggiori e maggiori cilindrate, si
venisse a creare spazio fra essa e l'Alfasud, da doversi colmare con
qualcosa di intermedio.
Il terrore al quale tutti erano in preda per i guai della 116 fece sì che
molti pensassero ad un precipitoso ritorno a qualcosa di più ortodosso.
Naturalmente, la prima cosa che veniva reclamata era di rimettere il cambio
davanti. E neppure Satta poteva rimanere insensibile al grido di dolore che
da tante parti dell'azienda si levava verso di lui, tanto che ancora prima
del 17 maggio 1972 mi chiese di buttargli giù lo schema di un'Alfetta con il
cambio davanti.
17 Maggio 1972, Grignano (Trieste) Presentazione dell'Alfetta ai
giornalisti. Conferenze stampa, interviste, Satta ed io un po' troppo seri,
preoccupati di non farci leggere in fronte l'interno affanno. Pranzo al
tavolo del Presidente, elogi sperticati dì tutti i giornalisti, Busso
intervistato per la radio da Ido Vicari, roba da gelare. Qualche mese più
tardi, io consegnavo a Satta, con molta amarezza nel cuore, lo schema di
un'Alfetta con cambio anteriore; quello studio era contraddistinto dal
numero 152.
Quanto ad arrendermi, però, piano. Ci eravamo tirati su le maniche; tutti
indistintamente. Noi, l'Espe, la Qualità, la Produzione. L'Alfetta pian
piano migliorò, quanto bastava perché a novembre di quel 1972, un anno dopo
il nostro forfait alla Conferenza Stampa di Luraghi, l'autotelaio
dell'Alfetta, sezionato e in movimento, venisse ritenuto non indegno di
essere esposto al Salone di Torino. Questo era evidentemente un esplicito
no-return.
L'arrivo del sereno aiutò Satta e me a far accettare in Direzione l'idea che
la vettura intermedia, la vettura di transizione, fosse semplicemente
un'Alfetta ridotta di cilindrata e di dimensioni.
Provvisoriamente sarebbe stata chiamata Alfettina, mentre la versione più
grande, con il 2 litri, non poteva chiamarsi ovviamente che Alfettona. Al
momento della commercializzazione erano la nuova "Giulietta" e la "2000".
Mi era ritornato il coraggio, ne avevo bisogno, e a principio di febbraio
1973, convinsi finalmente Satta a lasciarmi di nuovo esplorare, per una
intermedia definitiva, la trazione anteriore. Ai primi di marzo, Satta ci
diede via libera per lo studio di una 152 a trazione anteriore, con un
motore ad hoc
Questa del motore tutto nuovo ci sembrava una cosa quanto mai opportuna:
venti anni con il vecchio 4 cilindri non bastavano? Oltre a tutto, noi
volevamo realizzare un motore che potesse essere montato trasversalmente
sulla trazione anteriore 152 e, fatte salve le differenze nei basamenti,
longitudinalmente sulle trazioni posteriori se avessimo continuato a farne.
Non solo, con un modesto sovrappiù di attrezzature si doveva poter
aggiungere un quinto cilindro per allargare, come qualcuno aveva già
fatto, la gamma delle cilindrate.
Ho parlato di febbraio e marzo 1973; facciamo un breve salto indietro, a
settembre 1972: Guidotti va in pensione. A me sembra che il personaggio
meriti un addio adeguato a ciò che è stato nella storia dell'Alfa Romeo, e
promuovo una cena di commiato a "Stalla", il 27 settembre. Saremo in 40, ma
quello che conta è che c'è anche un Satta in piena forma.
Le fotografie che lo ritraggono mentre pronuncia il discorso al festeggiato
sono eloquenti; eppure sono quelle di un uomo che ha solo poco più di un
anno e mezzo da vivere.
Poco per volta, Satta aveva fatto della trazione anteriore il suo chiodo
fisso. Noi incontravamo grosse difficoltà a trovare posto per i freni
inboard sul gruppo con il motore trasversale, e la cosa non garbava a
Satta, che li giudicava irrinunciabili. L'inconfessata ragione era chiara,
la "nostra" traction non poteva avere nulla in meno dell' "altra".
La notizia dì qualche problema incontrato dall'Alfasud per avere i dischi
all'interno convinsero però, alla fine, Satta che rinunciarvi non era una
debolezza.
Al mio rientro dal Salone di Ginevra a metà marzo 1973, mi attendeva una
novità che sulle prime non parve di grande rilievo: Satta a casa con
l'influenza. Ma si trattava di una brutta influenza se già alla fine di
quello stesso mese di marzo veniva sottoposto ad un pesante intervento, al
Neurologico.
Era l'inizio della fine per Lui e per quella che qualche anno più tardi un
Amministratore Delegato avrebbe chiamato, sottolineando che con questo non
intendeva condannarla, "la dittatura di Busso". E fu l'inizio della fine,
naturalmente, anche per la 152 trazione anteriore.
Per la 152 era previsto il cambio automatico con convertitore di coppia
afflangiato al motore e seguito da rinvii a catena o a ingranaggi verso il
cambio a 4 rapporti.
Un breve commento alle sospensioni: l'anteriore salvo la posizione degli
ammortizzatori, era praticamente quella dell'Alfetta. Quella posteriore non
voleva essere che un esempio, neppure molto meditato; se la cosa fosse
andata avanti, il più logico sbocco non poteva essere che la stessa
sospensione dell'Alfasud.
Dopo che Satta era stato operato, io andavo spesso a trovarlo all'Ospedale
Neurologico, il più delle volte insieme all'ing. Chiti. Sorprendenti furono
la rapidità e la determinazione con la quale tornò ad occuparsi delle cose
nostre, prima per telefono e poi, addirittura, di presenza; non erano
passati due mesi dall'intervento e già partecipava a una prima riunione in
Direzione, seguita da molte altre a breve distanza.
A giugno 1973, lo rivedemmo addirittura nel suo ufficio, al suo posto,
nella ormai famosa poltrona; l'argomento che più amava trattare era
naturalmente la 152, i cui disegni stavano arrivando in officina a ritmo
sostenuto.
L'ultima volta che vedemmo Satta in fabbrica fu alla fine di ottobre, dopo
andavamo a trovarlo a casa: rientrò al Neurologico a metà dicembre e di lì,
malgrado i suoi guai fisici, ricominciò a tempestarci di telefonate,
raccomandandoci instancabilmente la 152.
L'ultima volta che al Neurologico mi lasciarono arrivare fino a lui fu alla
fine di gennaio 1974, quando destai non poco scandalo nei familiari che mi
videro dispiegare dei disegni, naturalmente della 152, sul letto del
malato.
Poi le telefonate di Satta si diradarono; nei primi giorni di marzo, tentai
ancora di vederlo, ma non mi lasciarono entrare da lui. Se ne andò il 22
marzo.
Passato il primo terribile sgomento, non potevamo fare che quello che Satta
si sarebbe aspettato da noi, tirare dritto, e lo facemmo, caparbiamente,
anche se molti, io per primo, non si facevano illusioni.
La 152 andava avanti, come disegni e come costruzione dei prototipi; avevamo
avviato dei contatti con una fabbrica di cuscinetti per esaminare la
applicabilità al nostro motore dei bicchierini di comando delle valvole con
regolazione automatica del gioco.
Per cautelarmi contro lo slittamento delle ruote motrici in accelerata per
le trazioni anteriori con alto rapporto potenza-peso, quale, prima o poi,
sarebbe stata la 152, chiesi al nostro STUR (Centro Studio Ricerche) di
esaminare la fattibilità di un limitatore di potenza automatico, un ABS alla
rovescia.
Non era una novità; in USA era stato usato sulle trazioni posteriori della
fascia alta e poi abbandonato perché l'intervento limitativo creava dei
problemi ai catalizzatori che le nuove leggi sull'inquinamento avevano reso
indispensabili.
La mia speranza era che un'eventuale iniezione elettronica e l'elettronica
in generale permettessero, nel 1974, di riprendere in esame la cosa, almeno
per l'Europa, dove, 10 o 12 anni fa, i catalizzatori non erano ancora
necessari per la maggior parte dei Paesi.
L ASR (Antischlupfregelung) sta pian piano ritornando di attualità, ora, per
vetture e autotreni.
Altro argomento al quale ci dedicavamo allora, era la possibilità di
arrivare a un basamento integrale in lega di alluminio, con i pistoni
"striscianti" direttamente sulla lega leggera.
Alla fine dell'estate del 1970, la General Motors aveva messo in produzione
una vettura, la Chevrolet Vega, con un motore 4 cilindri da 2,3 litri,
basamento integrale in lega di alluminio; la produzione di questo motore
sarebbe continuata fino al 1977 e ci sarebbe stata addirittura una
versione Cosworth 2 litri, 16 valvole, iniezione e accensione elettroniche,
112 CV netti.
Grande specialista della metallurgia per soluzioni di questo genere era la
Reynolds americana, che aveva a Massena (N.Y) una fonderia che forniva alla
GM la lega per i basamenti allo stato liquido addirittura.
Si trattava della lega 390 al silicio ipereutettico; erano recessari
speciali accorgimenti nella colata e nella successiva lavorazione meccanica.
I pistoni richiedevano speciali trattamenti superficiali.
Fra i vantaggi che si attendevano da soluzioni di questo tipo vanno
sottolineati, oltre alla leggerezza, minori problemi con la guarnizione
della testata, possibilità di alesaggi maggiori a parità di dimensioni
esterne del motore, maggiore silenziosità, minori consumi di olio e più
rapido warm-up, con vantaggi nella rapidità di raggiungimento delle normali
condizioni termiche del motore e anche nei riguardi delle prescrizioni
anti-inquinamento
Per acquisire informazioni dirette sui problemi di fabbricazione e di
impiego di basamenti di questo genere, nell'aprile 1974, l'ing. Viganotti,
direttore della produzione, e io andammo a visitare la Reynolds a Richmond,
Virginia, e alcuni specialisti di fonderia di Detroit e di Minneapolis.
Per farla breve, l'ultimo atto di questa telenovela dei pistoni che lavorano
direttamente sull'alluminio fu una breve prova a giugno 1975 su un nostro
1300 con canne in lega 390. Ottima durata, ottimi consumi dì olio, ma basta
così; l'esame dei costi e problemi di attrezzatura e lavorazione fanno dire
di no alla nostra proposta.
La Mercedes presentò a Francoforte nel 1977 il suo nuovo motore 8 cilindri
5 litri con basamento in lega leggera, integrale con le canne; nel 1985, la
stessa soluzione anche per un 8 cilindri 3,8 litri. La Porsche, nel marzo
1977, presentò a Ginevra la 928 con l'8 cilindri con soluzione analoga.
Nel 1981, la stessa soluzione di basamento integrale in alluminio, venne
adottata per il nuovo motore 944 a 4 cilindri con alberini controrotanti;
idem nel 1986 per il 944S a due alberi a camme e per la nuova edizione
dell'8 cilindri 5 litri (928S4) con quattro assi a camme. Ultimo venuto il
12 cilindri BMW, roba di un mese fa, anche lui con la lega 390 per il
basamento integrale con le canne.
Non sono mai riuscito a spiegarmi come il motore della 152 sia riuscito ad
arrivare al banco prova, qualche giorno prima di Natale 1975; e non era
male: 108 CV, 15,2 Kgm con 1623 cc, per cominciare. E, ahimè, anche per
finire.
* * *
BIOGRAFIA DELL'AUTORE
Giuseppe Busso, nato a Torino nel 1913, consegue in quella città il diploma
di perito industriale.
Dopo il servizio militare, nel 1937 viene assunto alla Fiat come
calcolatore dell'Ufficio tecnico motori aviazione (UTMA), da dove più tardi
passa all'ufficio tecnico autoveicoli ferroviari sperimentali (UTAFS).
All'inizio di gennaio 1939, passa all'Alfa Romeo sempre come calcolatore, ma
svolge lavoro di particolarista per i progetti di vetture da corsa. Dipende
direttamente dall'ing. Orazio Satta Pulìga, col quale instaura
un'importante amicizia.
Dal 1939 al 1946, lavora al Servizio studi speciali, che fa capo a Wifredo
Ricart e, con l'aiuto di Satta, che lo assiste fornendogli pubblicazioni e
dispense del Politecnico, completa la preparazione tecnica e teorica.
Diviene, a pieno titolo, progettista e si occupa particolarmente di
compressori e di turbine per motori d aviazione.
Indicato da Gioacchino Colombo, viene assunto come capo ufficio tecnico
della nascente Ferrari, all'inizio del giugno 1946. Posizione dalla quale si
dimetterà alla fine del 1947, passando le consegne ai subentrati Colombo e
Lampredi.
Richiamato da Satta, rientra all'Alfa Romeo nel gennaio 1948 e, da allora al
1977, ha avuto la responsabilità della progettazione della meccanica di
tutte le vetture prodotte al Portello e ad Arese: dalla 1900 e la Giulietta
degli anni Cinquanta sino all'Alfa 6 nelle versioni berlina e coupé con
motore a iniezione.
Svolge questo incarico per poco meno di trent'anni, raggiungendo nel tempo
le seguenti qualifiche ufficiali: caposervizio nel 1952, dirigente nel 1954,
vicedirettore nel 1966, direttore nel 1969, vicedirettore centrale nel 1972,
condirettore centrale nel 1973, carica che ha tenuto fino al 1977, anno del
suo congedo dall'Alfa Romeo.
Conferenza Aisa (numero 2) tenuta a Milano,
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia
8 ottobre 1987
[su http://www.aisastoryauto.it/ ]
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